La riforma del processo civile ha buone probabilità di essere approvata, di qui a poche ore, alla Camera dei Deputati (AC 3289) nella seconda lettura, che potrebbe diventare quella definitiva, se prevarrà, come ormai si dà per scontato, la linea di non toccare il testo predisposto dal governo per l’approvazione (con la fiducia) del disegno di legge al Senato. Si può quindi già tentare di tracciare un quadro delle novità di questa riforma, e in linea con l’argomento di questo numero del Dubbio, concentrarsi sulla mediazione e la negoziazione assistita, due procedure stragiudiziali di risoluzione delle controversie, ormai entrate nella vita quotidiana di molti avvocati.   [caption id="attachment_366204" align="alignnone" width="300"]
Donato Di Campli, consigliere Cnf[/caption]  

Donato Di Campli, consigliere del Cnf, e coordinatore della commissione Adr (Alternative Dispute Resolutions): qual è l’approccio di questa legge delega rispetto alle procedure alternative alle controversie legali?

La riforma rafforza la tendenza a favorire le soluzioni alternative alle controversie in sede giudiziale, introdotte per la prima volta nel 2010 con la mediazione, obbligatoria, volontaria e delegata dal giudice, e successivamente nel 2014 con la negoziazione assistita. Questo favore è dimostrato dal rafforzamento degli incentivi fiscali, che costituisce tra l’altro il primo indirizzo al legislatore delegato contenuto nel Disegno di legge delega 3289. Infatti, si prevede un ampliamento della soglia di esenzione per l’imposta di registro (attualmente pari a 50.000 euro), e la semplificazione della procedura per il credito di imposta per le spese legali in caso di ricorso alla mediazione, che oltre a poter essere commisurato al compenso dell’avvocato coinvolto nella procedura di mediazione, ovviamente nei limiti previsti dai parametri professionali, include anche il contributo unificato. Infine, si estende il beneficio del patrocinio a spese dello Stato alla mediazione ed alla negoziazione assistita.

Quali altre novità prevede la riforma per queste due procedure?

In primo luogo si estende la mediazione obbligatoria a nuove materie, come le liti derivanti da contratti di società di persone, associazione in partecipazione, rete di imprese, franchising, così come ai contratti di opera, di somministrazione, e di subfornitura. In secondo luogo si legittima l’amministratore di condominio ad attivare la mediazione, e poi si punta a rendere più solida la formazione dei mediatori. In quarto luogo, per quanto riguarda la negoziazione assistita, si prevede di semplificarne la procedura, anche mediante un modello di convenzione elaborato dal Consiglio nazionale forense, e se ne estende l’applicazione alle vertenze sul lavoro, ma senza che ciò costituisca condizione di procedibilità dell’azione.

Leggendo i criteri della riforma, sembra che un indirizzo generale sia quello di ampliare i soggetti coinvolti nei procedimenti extragiudiziali. E così, secondo lei?

In effetti la riforma intende favorire la partecipazione personale delle parti, nonché l’effettivo confronto sulle questioni controverse, prevedendo al tempo stesso conseguenze per la mancata partecipazione, e questo costituisce un indirizzo importante, in quanto valorizza quello che è uno dei vantaggi degli Adr, visto che il confronto delle parti, direttamente interessate dalla controversia, consente non solo di mantenere un rapporto diretto tra di loro, tanto più importante quando ci sono legami di parentela, che invece viene a mancare in sede processuale, ma anche di trovare una soluzione adeguata alle loro esigenze, e questo grazie al contesto professionale, quale è quello della mediazione, o anche della negoziazione assistita. Un’altra circostanza che conferma l’approccio “coinvolgente” della riforma si rintraccia nell’indicazione di valorizzare la mediazione delegata dal giudice mediante l’attivazione di un meccanismo di collaborazione fra gli uffici giudiziari, e ampi settori della società civile, come le università, la stessa avvocatura, gli organismi di mediazione, gli enti e le associazioni professionali e di categoria del territorio, che può concretizzarsi in varie iniziative, come la formazione dei mediatori e dei magistrati, il monitoraggio delle esperienze, e la tracciabilità dei provvedimenti giudiziali che demandano le parti alla mediazione.

Alla luce di questi nuovi indirizzi, come si pone l’avvocatura verso la mediazione?

Se un tempo una parte dell’avvocatura era effettivamente contraria alla mediazione, tanto da sollecitare una valutazione della sua costituzionalità, oggi si può affermare che ci sia stata una maturazione del mondo forense, e salvo qualche sacca di resistenza, la grande maggioranza degli avvocati ha sviluppato una maggiore sensibilità verso le soluzioni alle controversie extragiudiziali, riconoscendo che è prevalente l’interesse primario del cliente, che è quello di risolvere rapidamente la disputa legale, che spesso costituisce per molte persone un intralcio alla propria vita, se non addirittura un motivo di costante preoccupazione.

Dunque mediazione, negoziazione assistita, arbitrato, sono strumenti da privilegiare quando un legale interagisce con il proprio cliente?

Direi proprio di sì, innanzitutto perché queste procedure stragiudiziali costituiscono dei veri strumenti di pacificazione sociale, come accennato prima, e poi per la rapidità di queste soluzioni, che possono richiedere pochi mesi, invece di anni, con l’importante conseguenza che anche lo stesso professionista può seguire più facilmente un maggior numero di situazioni, senza dover ogni volta dedicare tempo a riesaminare vicende vecchie di anni, ogni volta che ha luogo una nuova tappa di lunghi procedimenti giudiziari.