«Ho perso i miei genitori biologici nel genocidio del Ruanda, ora aiutatemi a non perderne un altro». Carine Kanimba trattiene a fatica la commozione. Ha la voce rotta dal pianto e insieme la determinazione di chi reclama giustizia. Davanti a sé ha una platea di avvocati, i consiglieri del Cnf riuniti in plenum, pronti ad ascoltare la dolorosa vicenda che la riguarda. Una storia che ha per protagonista suo padre adottivo, Paul Rusesabagina, il celebre direttore dell’Hotel Milles collines che nel 1994 strappò oltre mille persone dalla morte dando loro rifugio. A tutti, indistintamente, nella feroce contesa tra Hutu e Tutsi.

Da eroe nazionale – celebrato nel film “Hotel Rwuanda” - e simbolo della convivenza pacifica tra le etnie, per il suo paese Rusesabagina si trasformò in breve tempo in nemico politico. Una voce scomoda, da silenziare, per il regime di Paul Kagame, che da oltre 20 anni regna incontrastato in Ruanda. E che ora tiene in ostaggio Rusesabagina nelle prigioni di Stato. «Mio padre è stato rapito, torturato, tenuto in isolamento per 260 giorni in violazione di ogni convenzione internazionale», raccolta Carine al Cnf. L’arresto risale all’agosto del 2020, quando attraverso l’inganno i servizi segreti ruandesi hanno trascinato Rusesabagina a Kigali su un areo privato. Il governo lo accusa di finanziare gruppi armati in Congo, comincia a fabbricare prove false e formula ben nove capi di imputazione mettendo in piedi un «processo farsa», celebrato in spregio alle regole dell’equo processo e del diritto di difesa. Quindi, a settembre scorso, la condanna a 25 anni di prigione per «terrorismo».

A raccontare questo incubo giudiziario ai suoi colleghi italiani è Vincent Lurquin, difensore di Rusesabagina, espulso come “persona non gradita” dalle autorità ruandesi nel tentativo di raggiungere il suo assistito dopo l’arresto. Insieme a Carine, Lurquin chiarisce il suo appello alla comunità internazionale: «Non chiedono impunità spiega - ma che Rusesabagina sia giudicato da un tribunale indipendente nel rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo». Un appello che il Consiglio Nazionale ha recepito come una vera e propria missione, accogliendo a Roma la delegazione che accompagna Carine e adottando al termine dell’incontro di ieri una risoluzione che verrà inviata al CCBE, il Consiglio degli Ordini Forensi Europei, per domandare l’immediato rilascio di Rusesabagina per motivi umanitari. «Vi ringrazio per aver ascoltato questo grido e aver condiviso le angosce e le preoccupazioni di chi conduce questa battaglia», dice Lurquin. «Questo incontro – chiosa - ci ha permesso di conoscere avvocati che condividono la “follia” di credere che la giustizia sia più di un’istituzione, ma qualcosa di universale, e che se le porte restano chiuse, noi dobbiamo sfondarle».

Una «follia» certamente condivisa dal Cnf, come ha ricordato la presidente Masi, che ha ringraziato a sua volta Carine e il suo avvocato per aver condiviso con l’avvocatura italiana «questo percorso di denuncia che trae origine da una situazione personale ma che diventa di fatto universale». La vicenda di Rusesabagina, sottolinea Masi, è infatti un «caso emblematico perché rimanda a a questioni che sono care all’avvocatura italiana e in particolare al Cnf, ovvero le regole del giusto processo e il diritto di difesa». Con riferimento anche alla vicenda personale di Lurquin, al quale è stato impedito di svolgere la propria funzione di avvocato e di entrare in contatto con il suo assistito. Una circostanza denunciata anche dal Parlamento Europeo, che lo scorso 7 ottobre ha approvato una risoluzione nella quale si sottolinea, tra le altre cose, che Paul Rusesabagina non ha potuto scegliere inizialmente gli avvocati per la sua difesa. Ugualmente si è pronunciato il parlamento del Belgio, dove Rusesabagina trovò riparo, e il Congresso degli Stati Uniti.

A ricordare tutte le pronunce internazionali e gli atti di denuncia sul caso è il consigliere del Cnf Francesco Caia, coordinatore della commissione diritti umani e presidente dell’Oiad ( Osservatorio Internazionale avvocati in pericolo). Dopo aver citato le innumerevoli violazioni dei diritti che hanno caratterizzato questa vicenda negli ultimi venti anni, Caia ha sottolineato come l’impegno del Cnf sul caso prosegua «in assoluta coerenza con l’impegno che la massima istituzione forense porta avanti da ormai diversi anni nel rispetto dei principi dello Stato di diritto». E coerentemente, aggiunge Caia, «alla funzione sociale dell’avvocato che deve essere protagonista del risveglio delle coscienze della società». L’ultima tappa dell’attività del Cnf, guidata da Caia, si inserisce proprio nell’ambito della visita in Italia di Carine. Che mercoledì scorso ha incontrato il Comitato permamente sui diritti umani presso la Commissione affari internazionali. E in quell’occasione la presidente del Comitato, Laura Boldrini, si è impegnata affinché anche il parlamento italiano condanni formalmente l’arresto e la detenzione illegale di Paul Rusesabagina.