Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’università di Bologna, spiega che «se Draghi venisse eletto alla presidenza della Repubblica chiaramente lascerebbe la guida di palazzo Chigi, aprirebbe le consultazioni e darebbe probabilmente l’incarico a Franco» e che «l’alternativa è che Draghi dia le dimissioni prima dell’elezione e a quel punto sarebbe Mattarella a incaricare l’attuale ministro dell’Economia».

Professor Gianfranco Pasquino, l’autorevolezza riconosciuta a Draghi dai leader del G20 sarà lo slancio decisivo per la sua corsa al Colle?

Credo che Draghi non si sia posto il problema di organizzare un buon G20 per arrivare al Colle, ma certamente ha dimostrato che l’Italia attraverso la sua guida riesce a gestire un summit internazionale in maniera efficiente ed efficace. Che il presidente della Repubblica debba avere un buon consenso internazionale è vero, ma l’obiettivo principale era dimostrare che si può lavorare consapevolmente in maniera unitaria anche con un gruppo di stati che hanno idee diverse. Il multilateralismo è importante, anzi è il miglior modo di fare politica a livello internazionale.

In che modo la credibilità internazionale del presidente del Consiglio potrebbe influenzare nella scelta i partiti presenti in Parlamento?

Noto di riflesso che Di Maio ha avuto una sua visibilità durante il G20 e quindi potrebbe quantomeno dire che Draghi non oscura il Movimento, anzi valorizza sia i pentastellati che lo stesso ministro degli Esteri. Ma in assoluto penso che i partiti italiani non stiano ragionando nei termini giusti.

Cioè?

Pensano soltanto ai vantaggi più o meno immediati che potrebbe portare loro la scelta di un presidente della Repubblica piuttosto che un altro. Il centrodestra vorrebbe intestarsi la candidatura di Draghi ma poi vorrebbe anche lo scioglimento delle Camere. Il centrosinistra sa che Draghi è il candidato migliore ma ha il timore di eleggerlo proprio per la paura di elezioni anticipate. Anche perché scegliere il capo del governo successivo non sarebbe semplice: Franco è buon ministro ma non è all’altezza nazionale e internazionale di Draghi.

A proposito di eventuale successione, come sarebbe gestita la prima volta in cui un presidente del Consiglio in carica diventa presidente della Repubblica?

Su questo fronte la situazione è delicatissima. Se Draghi venisse eletto chiaramente lascerebbe la guida di palazzo Chigi, aprirebbe le consultazioni e darebbe probabilmente l’incarico a Franco. L’alternativa è che Draghi dia le dimissioni prima dell’elezione e a quel punto sarebbe Mattarella a incaricare l’attuale ministro dell’Economia. In questo caso la soluzione sarebbe a portata di mano ma per Draghi sarebbe un rischio evidente.

Pensa che il presidente del Consiglio ambisca al Colle?

La variabile più importante non è la sua preferenza personale, occorre fare un ragionamento in termini sistemici e di visione del paese. Draghi pensa che sia meglio fare il presidente del Consiglio fino al 2023 e quindi aver svolto il suo compito fino in fondo o pensa che il Pnrr vada molto oltre il 2023 e quindi è meglio controllarlo dal Colle per un periodo più lungo? Dipende tutto dalla sua visione dell’Italia e questo è il passaggio più delicato.

Crede che i franchi tiratori che si sono palesati al momento del voto sul ddl Zan saranno un problema al momento dell’elezione del prossimo capo dello Stato?

Il voto sul ddl Zan è stato in buona misura annunciato ed è stato un voto incosciente da parte dei franchi tiratori. Quelli che hanno votato a favore della tagliola dovevano avere il coraggio di dire che non volevano quel disegno di legge: serviva un’ammissione di responsabilità. Ma l’elezione del presidente della Repubblica è cosa diversa, anche se entrambi gli schieramenti avranno delle grane interne. Il centrodestra ad esempio dovrà chiarire il da farsi perché al momento è divisa tra Forza Italia che è continuamente al governo, la Lega che non è chiaro se sia al governo o all’opposizione e Fratelli d’Italia che presidia l’opposizione, anche se la sua crescita sembra essersi arrestata. Anche perché è improbabile che un partito di estrema destra in Europa vada oltre il 20 per cento.

Potrebbe essere il centrosinistra da avere i maggiori problemi? Abbiamo ancora tutti in mente i 101 che pugnalarono Prodi…

Nel centrosinistra tutto dipenderà da una persona imprevedibile nei suoi comportamenti, perché ragiona solo in termini di brevissimo periodo, che è Matteo Renzi. Tuttavia i suoi voti in Parlamento contano e quindi si dovrà raggiungere un accordo anche con lui.

Magari puntando su qualcuno che potrebbe mettere d’accordo anche il centrodestra, come Pier Ferdinando Casini.

Casini è un decano del Parlamento e ha i suoi voti in Parlamento. Ha una sua statura e in troppi lo sottovalutano. In più non è divisivo. Tuttavia penso che Renzi farebbe fatica a intestarselo perché lui si smarcherebbe subito dichiarando indipendente la propria candidatura. Una volta eletto dal Parlamento, il presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale, non chi ha contribuito a eleggerlo. Il colpo di teatro di Renzi starebbe nell’individuare la persona giusta, magari una donna, ma a livello politico non gli gioverà più di tanto.

Pensa che da qui all’elezione del futuro inquilino del Colle i partiti cercheranno di tirare ancor di più l’acqua al proprio mulino, magari per bruciare questa o quella candidatura?

Finora quando qualcuno ha tirato l’acqua al proprio mulino è stato subito stoppato da Draghi. Quindi è un esercizio illusorio e velleitario. Ormai abbiamo solo novembre e dicembre di operatività e nessuno pensa a grandi scossoni. Ci saranno certamente delle sparate utili a qualche retroscena, ma sarebbe da irresponsabili dare forti spallate a questo governo. Basterebbe fare i conti su quanto potrebbe costare in termini di voti persi e tutti i leader della maggioranza si fermerebbero subito.