Il ministero della Giustizia si è costituito parte civile nel corso dell’udienza preliminare per decidere del rinvio a giudizio di dieci agenti di polizia penitenziaria e di due medici, indagati nell’ambito dell’inchiesta della procura di Firenze su presunti pestaggi che sarebbero avvenuti nei confronti di due detenuti del carcere fiorentino di Sollicciano. Le altre parti civili che si sono costituite sono le due presunte vittime delle violenze, che hanno a loro volta citato il ministero come responsabile civile, il garante dei detenuti della Toscana e il centro L’Altro Diritto. Le accuse contestate a vario titolo agli indagati sono quelle di tortura e falso in atto pubblico. Il caso esplose nel gennaio scorso, quando tre appartenenti al corpo della polizia penitenziaria, tra i quali anche un’ispettrice 50enne, finirono agli arresti domiciliari, poi revocati, mentre per altri sei venne disposta la misura cautelare dell’interdizione dall’incarico per un anno e dell’obbligo di dimora nel comune di residenza. Secondo quanto emerso dalle indagini, alle quali ha partecipato anche la stessa polizia penitenziaria, attraverso il Nucleo investigativo centrale, tra il 2018 e il 2020 sarebbero avvenuti dei pestaggi ad opera di un gruppo di agenti comandati dall’ispettrice. Nel suo ufficio sarebbe avvenuto, il 27 aprile del 2020, quello che per gli inquirenti sarebbe stato il più violento degli episodi contestati, ai danni di un detenuto marocchino, colpevole di aver protestato insultando un agente. Secondo le ricostruzioni dell’accusa, per coprire il pestaggio avvenuto nel suo ufficio, l’ispettrice avrebbe redatto una relazione in cui dichiarava che i colleghi erano stati costretti a intervenire perché il cittadino marocchino aveva cercato di aggredirla sessualmente. Un trattamento analogo sarebbe stato riservato a un detenuto italiano, picchiato fino a perforargli un timpano. Il coinvolgimento dei due medici, chiamati a rispondere di falso in atto pubblico, è riferito a quando le presunte vittime dei pestaggi vennero portate in infermeria. Per l’accusa, sia l’uno che l’altro medico, in almeno due distinti episodi, avrebbero coperto gli autori dei pestaggi omettendo di visitare i detenuti, certificando come lievi lesioni che invece avevano una prognosi reale di oltre 20 giorni, facendo passare, ad esempio, per semplici lividi fratture alle costole o sminuendo il danno della perforazione di un timpano.