Mario Oliverio si riprende quello che gli era stato tolto alle ultime elezioni Regionali, quando il Pd - in nome del cambiamento - rinunciò alla sua candidatura a presidente della Regione Calabria. La mossa del segretario dell’epoca, Nicola Zingaretti, fu ugualmente perdente. L’attuale presidente della Regione Lazio, puntando sull’imprenditore Pippo Callipo, da sempre vicino al centrodestra, aveva di fatto aperto una crisi politica all’interno del Pd calabrese, sempre più logorato da lotte intestine. Tra le altre cose, Callipo, una volta insediatosi il nuovo Consiglio regionale, si dimise poco dopo, ufficializzando la disfatta completa del centrosinistra.

Vittima di un sistema giudiziario

Ma quale centrosinistra vige oggi in Calabria? Identico a quello di ieri. Così, la “discesa in campo” di Oliverio non deve essere vista come una sorta di “vendetta” nei confronti di un partito, il Pd, che sente ancora suo, ma l’inizio di un nuovo progetto politico che consenta alle anime scontente di quella area politica di unirsi e ritrovarsi serenamente intorno a un tavolo. Questo è successo nei giorni scorsi e, ieri, se n’è avuta prova, quando il coordinamento dei comitati “Oliverio presidente” ha ufficializzato la candidatura a presidente della Giunta regionale del politico di San Giovanni in Fiore, alla presenza di tanti consiglieri regionali, in carica e uscenti, provenienti dal Partito democratico. La storia di Mario Oliverio, almeno quella recente, è ormai nota. E’ vittima di un sistema giudiziario che lo aveva sostanzialmente estromesso dalla corsa per le Regionali del 2020. Non solo contro di lui ci fu, come scrisse la Cassazione, «un pregiudizio accusatorio», ma anche un pregiudizio politico-giudiziario da parte del Pd che in quella fase seguiva le onde giustizialista del Movimento Cinque Stelle.

Dall'obbligo di dimora all'assoluzione

Mario Oliverio, quindi, aveva tutto il diritto di candidarsi e la motivazione per escluderlo non poteva contenere riferimenti alle inchieste giudiziarie, come la vicenda relativa al processo “Lande desolate”, dove la Dda di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, chiese e ottenne una misura cautelare, confinandolo per alcuni mesi nella sua San Giovanni in Fiore, per poi essere "sconfitta", in fatto e in diritto, dalla Suprema Corte di Cassazione. In primo grado, nel gennaio scorso, è arrivata l’assoluzione. Mario Oliverio, dunque, ritorna in campo dopo l’ingiustizia patita sulla sua pelle e se una bocciatura dovrà ricevere, quella dovrà arrivare dalle urne e non da un ufficio giudiziario che, come si è visto, non aveva alcun buon motivo né per indagarlo né per arrestarlo.