«La Calabria è una sorta di leggenda metropolitana che si utilizza come foglia di fico a seconda delle convenienze. Anche i problemi che ci sono in questa terra vengono utilizzati e agitati per criminalizzarla. E su questo non si può rimanere in silenzio». Mario Oliverio non ne può più. La sua terra, da decenni, viene cannibalizzata da tutti: politica, media e magistratura. E lui, reduce da un processo, si sente di poter parlare di ognuna di queste cose con cognizione di causa. Perché proprio l’indagine chiusa con la sua assoluzione “perché il fatto non sussiste” lo ha visto al centro di una «gogna mediatica e giudiziaria», ma anche politica. Proprio a seguito di quell’indagine, infatti, il Pd ha deciso di non ricandidarlo alla presidenza della Regione che fino a quel momento aveva guidato. Con ipocrisia, ammantando le vere ragioni di questioni politiche non meglio specificate. E chiuso uno dei capitoli più dolorosi della sua vita tira le somme, invitando ciascuno a svolgere il proprio ruolo, senza invadere il campo degli altri. «Bisogna battersi perché i mali di questa terra, a partire dalla criminalità, vengano sconfitti, ma va sconfitto anche il male di chi utilizza i problemi per sporcarla di fango come se fosse un'isola del male», racconta al Dubbio.

Partiamo dall’assoluzione.

Per questa vicenda parlano le sentenze. Quella del 4 gennaio, con un'assoluzione perché il fatto non sussiste, ma anche quella della Cassazione sul ricorso contro l'obbligo di dimora per tre mesi nel mio Comune di residenza. Un provvedimento che mi ha limitato non solo nella mia libertà, ma anche nella funzione di Presidente della Regione. La Cassazione ha rimosso quel provvedimento senza rinvio definendomi “oggetto di un chiaro pregiudizio accusatorio”. In quelle sentenze c’è una risposta chiara a quella che è stata l’inconsistenza e la gravità di un’inchiesta che mi ha fatto finire in un tritacarne mediatico per due anni. Non solo, è stata questa la vera ragione per cui il Pd ha detto no alla mia candidatura.

Sembra che il partito abbia colto la palla al balzo per darle il benservito...

Un grande partito non può nascondersi dietro il non detto. Su quel pronunciamento della Cassazione i dirigenti nazionali del Pd non hanno detto una parola. Nemmeno oggi, con una sentenza che è postuma alle elezioni, quindi con il problema delle liste per le candidature già superato. Ora ci si arrampica sugli specchi, ma era evidente anche alle pietre in Calabria e non solo - che la ragione era quella. C’è stato un atteggiamento supino e subalterno, non so per quali ragioni, ma la linea scelta è stata questa e segna il comportamento del Pd sulle problematiche della giustizia.

Qual è il rapporto tra politica e magistratura?

In questa fase prevale l’onda giustizialista e condiziona questo rapporto. Si insegue una linea populista, che in questo momento condiziona l’azione parlamentare e l’azione del governo e il Pd non fa nulla per riportare la discussione sul terreno del confronto e del principio costituzionale della separazione dei poteri. Questa è una deriva che determina, di fatto, una condizione di restrizione della vita democratica e di condizionamento dell'esercizio del potere legislativo. Deriva che non fa bene nemmeno al potere giudiziario, che in questo modo viene screditato e crolla davanti alle verifiche della magistratura giudicante, perdendo credibilità.

Qual è il problema della magistratura?

Non è in discussione la necessità della libertà dell'investigatore, ma il problema è che non si può privare della libertà una persona a cuor leggero. Perché poi passano anni e si producono lacerazioni profonde nella vita delle persone, nelle relazioni e negli affetti. Gli errori giudiziari stanno alla Giustizia come i preti pedofili stanno alla Chiesa. Sfregiano chi la subisce ma sfregiano anche l’istituzione a cui appartengono. Nel mio caso c’è stata anche una limitazione dell'esercizio democratico e della sovranità popolare sulla base di nessun indizio, come ha detto la Cassazione.

Talvolta sembra quasi che, specie in Calabria, la magistratura assuma un ruolo di supplenza rispetto alla politica. Come se ne esce?

L'azione della politica deve essere ancora più rigorosa nella selezione delle classi dirigenti e delle rappresentanze. Ma questo, appunto, è un compito che spetta alla politica. La magistratura deve intervenire per colpire i reati, non può sostituirsi alla funzione della politica. Troppo comodo, dopo due anni di gogna, far finta di nulla. Io sono stato assolto e sono soddisfatto, non mi sono mai rassegnato, ho sempre creduto nella Giustizia, ma il pensiero che anche un solo calabrese potesse pensare che il Presidente a cui ha dato fiducia abbia approfittato del suo mandato è stato un tormento. Questo sega le gambe a chi fa dell’assunzione dei valori della trasparenza e della legalità la bussola della propria azione di governo. Mi sono trovato in una dimensione paradossale, con il mondo letteralmente capovolto.

La Calabria è stata al centro di polemiche per quanto riguarda il commissario alla sanità e negli ultimi tempi per i fondi destinati dal Recovery Plan. È rimasta come sempre ai margini dell'agenda politica?

La Sanità è l’esempio di come questa regione venga tenuta in una condizione coloniale. È in una condizione disastrosa, ma sono 11 anni che la Regione è commissariata e i poteri vengono esercitati attraverso il commissario dal ministero della Salute, dal Mef e dal Governo. Anche qui bisogna sfatare la favola per cui tutto è riconducibile alle classi dirigenti locali. I commissariamenti sono la longa manus del Governo nazionale su questa terra e l’amplificazione delle incapacità e delle difficoltà delle classi dirigenti locali, che non voglio minimizzare, ma non possono essere la foglia di fico sulle responsabilità di Roma. Per quanto riguarda poi il Recovery, purtroppo anche nell'ultima versione la Calabria viene penalizzata. Penso per esempio all'Alta Velocità: il Mezzogiorno e la Calabria vengono tagliati fuori e lo saranno per altri cinquant'anni, non è concepibile. Così come per gli hub della portualità: si fa riferimento esclusivamente al porto di Trieste e a quello a quello di Genova, trascurando il Sud. Un porto come quello di Gioia Tauro, che è il più grande porto di transhipment del Mediterraneo e sicuramente del nostro Paese, non viene nemmeno menzionato.

In primavera ci saranno le elezioni in Calabria, pensa di ricandidarsi?

Penso che bisogna mettere in campo un progetto, costruire un fronte largo delle forze democratiche. Ritengo che la strada che è stata imboccata anche dal Centrosinistra nelle settimane scorse sia assolutamente sbagliata. C’è stata una rincorsa ai populismi, alle forze che agitano i problemi senza avere una proposta di governo. Io credo che invece bisogna recuperare una visione riformista e moderna, una visione che sia credibile. Io sono disponibile a costruire questo percorso e dare un contributo in questa direzione sento di dare un contributo. Non ho mai anteposto problemi di carattere personale agli interessi generali ed agli obiettivi di carattere collettivo. Il primo terreno per misurare appunto la bontà di un'impostazione politica è il progetto, la tensione che si crea e la capacità di dare un’ispirazione riformista e credibilità ad un progetto di governo.

Nel caso, lo farebbe con il Pd?

Il Pd nazionale, incredibilmente, mi ha mi ha lasciato solo e continua a far finta di nulla, un’indifferenza che la dice lunga sulla bontà delle scelte che sono state compiute anche nel recente passato. Immagini che io faccio parte della Direzione Nazionale e nell'ultimo anno non mi hanno nemmeno invitato a partecipare. La mia storia politica parla più di ogni altra cosa. Non credo che ci sia nessuno abilitato a dare pagelle e a decidere chi e come può stare in un campo. Mi auguro semplicemente che non si consumino altri atti distruttivi e forzature di stampo coloniale, che la Calabria sta già abbondantemente pagando senza che nessuno sia chiamato a risponderne.