Dopo la riforma Cartabia i reati di mafia diventeranno praticamente imprescrivibili. Ed è proprio su questo punto che i pm di assalto avevano cercato e trovato un varco. La Riforma resta comunque un fatto di civiltà. “Comprendo” perfettamente che nella situazione attuale nessun “politico” se la sia sentita di “resistere” nella difesa del testo originario, approvato a unanimità nel Consiglio dei ministri.

I mafiosi e i delinquenti comuni

Se qualcuno avesse aperto bocca per dire che i tempi di prescrizione nei processi per mafia sono irrazionali e, probabilmente, indegni di un Paese civile si sarebbe trovato indifeso dinanzi ad un plotone di esecuzione che lo avrebbe fucilato facendolo passare per mafioso o amico dei mafiosi. Provo a formulare una domanda: cosa hanno di diverso i mafiosi rispetto ai delinquenti comuni?

“Normalmente” sia gli uni che gli altri uccidono, minacciano, rubano, trafficano droga. Dal momento che i cittadini dovrebbero essere uguali dinanzi alla legge non si comprenderebbe perché ’ndranghetisti e mafiosi dovrebbero riceve un trattamento diverso.

Ciò detto, riteniamo che il legislatore giustifichi il diverso trattamento per il fatto che, essendo la mafia una organizzazione ( a delinquere) presente da tempo e radicata in un determinato posto, i crimini commessi degli affiliati, oltre che essere odiosi come tutti gli altri, hanno come fine il controllo del territorio sottraendolo di fatto allo Stato. Quindi lo Stato è “naturalmente” in guerra con la mafia.

A questo punto una domanda è d’obbligo: il processo può essere un momento di tale guerra? No! Per il semplice fatto che prima della sentenza tutti gli imputati dovrebbero essere considerati innocenti, e come la storia recente dimostra, in buona parte lo sono. Lo Stato ha tutto il diritto di giudicare ma non di muovere guerra a un solo innocente.

Il processo "Gotha"

Faccio un esempio. Ieri l’altro a Reggio Calabria s’è concluso il processo “Gotha” che contrariamente alla maggioranza dei processi allestiti in Calabria con operazioni spettacolari - ma miseramente falliti - ha retto al 50% (ripeto 50%) al primo grado di giudizio. Cioè su trenta imputati quindici sono stati assolti e quindici condannati.

Molti degli assolti, prima della vicenda che li ha visti coinvolti, non erano mai stati in un’aula di giustizia. Per esempio, tra di loro è “capitato” uno stimato primario di cardiochirurgia, un ex presidente della Provincia; un senatore della Repubblica. Qualcuno tra questi ha trascorso qualche anno in carcere (complici) dei parlamentari pavidi. Tutti sono stati sotto processo da anni in quanto sospettati di essere mafiosi.

Sotto processo per 18 anni?

A questo punto poniamoci una domanda: qualora la procura dovesse fare appello (cosa che probabilmente farà) verranno tenuti sotto processo per 18 anni e poi per altri 18 ancora?

Non ci sono persone al disopra di ogni sospetto, né con diritto di essere tutelati più di altri ma in base a quale principio lo Stato potrebbe trattare queste persone molto peggio degli assassini seriali, degli stupratori, dai pedofili, tenendoli prima in carcere e poi sotto processo a vita? Non si tratta d’un “danno collaterale” accettabile pur di combattere la mafia ma di un abuso che ha come logica conseguenza la legittimazione e il rafforzamento delle mafie su un determinato territorio. Agli occhi di queste “vittime “lo Stato sarà una presenza tirannica di gran lunga peggiore della mafia.

La verità è che le mafie devono e possono essere combattute prima e dopo del “processo” e con gli strumenti messi a disposizione dalla Costituzione. Viceversa, il processo dovrebbe assicurare un giudizio sereno ed in tempi umani attraverso regole e leggi uguali per tutti.

Se lo Stato condanna il Sud

Infine, la riforma Cartabia assicurerà nelle regioni del Centro- Nord una giustizia più efficiente ed umana mentre al Sud avremo in assoluta prevalenza il “processo infinito”. Infatti, nessun pm delle regioni meridionali perderà l’occasione, dinanzi ad una estorsione o ad un omicidio, di contestare l’aggravante mafiosa perché ciò gli consentirà tempi infiniti. E non sarà difficile in zone come la Calabria o in paesi come Africo o San Luca trovare rapporti di parentela, di frequentazione, di vicinato con qualche famiglia in odore di mafia.

Il cerchio è chiuso. La questione meridionale diventa così, ed ancora di più, questione criminale da affrontare praticando la “giustizia dei sette capestri” aldilà del Pecos. Le mafie diventeranno l’alibi per spiegare il mancato sviluppo del Sud o per non ascoltare il grido del professor Gianfranco Viesti che ha dimostrato che dei fondi del Recovery solo 13 miliardi arriveranno nelle Regioni meridionali.

Ed in tutto ciò, la cosa che più fa salire il sangue alla testa è che non ci sia stata una sola voce in Parlamento, e neanche fuori, a difendere il Sud da questa follia giustizialista che avrà come unico risultato la mortificazione della Legge e della Costituzione da un lato e la legittimazione e l’invincibilità delle mafie dall’altro.