Una tornata di elezioni amministrative come quella che si svolgerà in ottobre sarebbe importantissima comunque. Lo è tanto più in un momento come questo, perché l'esito del voto non si limiterà a registrare i rapporti di forza tra due schieramenti, influenzando così anche l'esito di quello successivo, cioè delle prossime elezioni politiche. Ma stavolta in ballo c'è di più, c'è la definizione di quegli stessi schieramenti: la loro natura, i rapporti di forza al loro interno, la leadership, forse la stessa composizione.

Ogni piazza è importante, da ciascuna partiranno segnali destinati a incidere a fondo. Ma Roma lo è più di ogni altra, perché si tratta della Capitale, perché è di gran lunga la più popolosa città italiana, con oltre il doppio degli abitanti di Milano e il triplo di quelli di Napoli, ma anche perché qui la partita è più aperta che altrove, la suspence più tesa, le previsioni giocoforza azzardate. Nella città eterna tutti si giocano una posta alta, ma quella che mette sul tavolo Enrico Letta è altissima. Il Pd può perdere al ballottaggio. Sarebbe una sconfitta scottante ma non devastante, soprattutto se il suo candidato fosse sconfitto di misura ne uscirebbe a testa comunque alta. Però non può permettersi di non arrivare al ballottaggio. In quel caso non si tratterebbe più di una sconfitta ma di una rotta che trasformerebbe nel giro di una notte il segretario Enrico Letta in una classica "anatra zoppa". Per la sua leadership partirebbe seduta stante il conto alla rovescia. Il rischio che questo scenario catastrofico si realizzi è concreto.

Oggi gli elettori del Pd sceglieranno il loro candidato. La vittoria dell'ex ministro Gualtieri è scontata ma con due punti interrogativi rilevanti. Il primo riguarda il numero dei votanti: se il calo rispetto ai 40mila di cinque anni fa fosse rilevante il segnale sarebbe pessimo. Il secondo è il risultato che raggiungeranno i contendenti e in particolar quello sponsorizzato dall'ex sindaco Ignazio Marino, Giovanni Caudo. Se la sua affermazione fosse brillante si creerebbe un potenziale grosso problema per il Nazareno. Perché Marino, che in un certo senso concorre per interposto candidato, non sarebbe vincolato come i candidati ufficiali a sostenere comunque il vincitore. Se i voti raccolti da Caudo in buona parte grazie al suo endorsement fossero parecchi potrebbe decidere di non appoggiare Gualtiri al primo turno.

Nella situazione molto delicata e incerta che si è creata a Roma, un eventuale segnale a favore di qualcun altro da parte dell'ex sindaco disarcionato da Matteo Renzi potrebbe avere il suo peso. Certo, il vero problema per Gualtieri e per il Pd non si chiama Marino ma Calenda. È lui il candidato che potrebbe a sorpresa raccogliere molti più voti del previsto, e a maggior ragione se anche l'ex sindaco decidesse di sostenerlo. Le probabilità che Calenda superi al primo turno Gualtieri sono in realtà tanto scarse che nessuno ci scommetterebbe anche un solo euro. Se in campo ci fossero solo loro Gualtieri e Letta potrebbero dormire sonni tutto sommato tranquilli. Solo che non è così. Gualtieri deve vedersela con una candidata in realtà molto forte come Virginia Raggi, sindaca uscente e nonostante i poco brillanti risultati della sua amministrazione ancora molto forte nelle periferie. La partita sarebbe aperta persino se contro la destra fossero in campo solo il candidato del Pd e quella dei 5S. La presenza di Calenda è però la variabile che potrebbe far saltare ogni equilibrio. L'ex ministro ruberà qualche voto anche alla destra, non solo al Pd. Non però alla Raggi. La competizione a sinistra potrebbe di conseguenza rivelarsi decisiva per la sindaca uscente, esiziale per il Pd.

Non sarebbe una forte scossa tellurica ma un terremoto. Soprattutto se a determinare la sconfitta di Gualtieri, il suo mancato arrivo al ballottaggio, fosse un'affermazione superiore alle aspettative di Calenda nel tritacarne finirebbe non solo l'ex professore di Parigi ma l'intera strategia politica del Pd centrata sull'alleanza con i 5S.