«I diritti civili sono un terreno che deve essere continuamente riguadagnato». Per Guido Alpa - giurista, avvocato, accademico e presidente emerito del Consiglio Nazionale Forense - questa lezione di Stefano Rodotà è come un mantra. Un monito che Alpa applica anche alla riflessione sul concetto di identità posta al centro del suo ultimo libro “Il diritto di essere se stessi” (La nave di Teseo, collana Krisis). Per alcuni, spiega il giurista, il “diritto di avere diritti” è  ancora una meta, «un traguardo difficile da raggiungere». E su questo terreno, sempre da riguadagnare, si muovono certamente gli avvocati, custodi e garanti della democrazia. Professore, nel suo saggio scrive che il «il livello di civiltà di una società è dato dalla misura con cui è in grado di assicurare a ciascuno il diritto di essere se stessi». Noi a che punto siamo? Il livello ovviamente è alto, se consideriamo che i diritti fondamentali sono stati non soltanto consacrati nella nostra Costituzione, ma anche sanciti sulla base della giurisprudenza della Corte Costituzionale, a cui si aggiunge una osservanza scrupolosa della Carta europea dei diritti fondamentali e della Convenzione europea dei diritti umani. Tuttavia, nei rapporti sociali che via via si sono evoluti, sono rimasti dei residui preoccupanti di antisemitismo, di intolleranza nei confronti dei gay e atteggiamenti che possono danneggiare e ledere i diritti delle donne. Ci sono poi forme di “servitù personale” che si impongono ai lavoratori immigrati, privi di qualsiasi garanzia. In più, gli eventi che si susseguono e che riguardano la salute dei lavoratori in fabbrica sono preoccupanti. E altrettanto preoccupanti sono gli eventi che riguardano il danno all’ambiente. Non dobbiamo poi fermarci a considerare la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che applica la tutela dei diritti umani per verificare che le carceri siano adeguate e siano appropriate per contenere migliaia e migliaia di detenuti in condizioni non ottimali. Questa non è che la punta dell’iceberg, segnalata dalla Corte europea dei diritti umani, che ha più volte condannato l’Italia. Tutti questi fenomeni, che qualche volta si esprimono in modo eclatante, con aggressioni di carattere fisico, indicano che ci sono ancora delle sacche di intolleranza che devono essere combattute con vigore. Nel dibattito attuale il fenomeno dell’hate speech, il linguaggio dell’odio, occupa uno spazio centrale. In relazione agli atti di intolleranza verbale, quali strumenti di contrasto ritiene più adeguati? Credo ad esempio che il disegno di legge Zan contro l’omotransfobia sia un segno di civiltà. E questo non significa ovviamente introdurre delle norme penali in bianco e neppure limitare eccessivamente la libertà di espressione, di opinione e di stampa. Si tratta piuttosto di riportare ad equilibrio un sistema nel quale certe volte la libertà di espressione non è bilanciata con i diritti fondamentali della persona e quindi finisce per essere ingiustamente lesiva. Tra coloro che si oppongono al ddl Zan, c’è chi crede che il nostro ordinamento preveda già strumenti di tutela adeguati e non sia necessario introdurre nuove leggi. Non è d’accordo? No, perché mi pare che i risultati di quelle norme che si invocano siano deludenti. E se è necessario cambiare il sistema normativo, bisogna farlo. Proprio perché l’applicazione di quelle disposizioni è risultato insufficiente a garantire una adeguata tutela delle persone.Il fatto che questa norma sia così osteggiata è per lei un indice del nostro livello di civiltà? È indice del fatto che quel livello di democrazia che pensavamo di avere attinto ha manifestato un suo deficit, e quindi un regresso. E significa anche quello che diceva Stefano Rodotà, cioè che i diritti civili sono un terreno che deve essere continuamente riguadagnato. Che ruolo ha l’avvocatura nella battaglia per i diritti? Il ruolo dell’avvocato è essenziale, perché l’avvocato non è tenuto a difendere soltanto gli interessi del cliente, ma anche a difendere i diritti, e in particolare i diritti civili e politici. Da questo punto di vista la storia dell’avvocatura è significativa, sia per il ruolo che gli avvocati hanno avuto durante la dittatura, sia successivamente. Per la sua funzione sociale, l’avvocato deve promuovere la difesa dei diritti ed entrare in modo determinato nella dinamica dei rapporti sociali. Una funzione che lei ritiene si debba rafforzare inserendo la figura dell’avvocato in Costituzione? Assolutamente sì. In occasione della consueta relazione annuale della Corte Costituzionale, il presidente Coraggio ha parlato di «nuovi diritti» e dell’esigenza «sempre più avvertita di garantirli». Richiamando, in questo modo, l’inerzia del legislatore. Bisogna dire che c’è una favorevole circostanza. Il fatto cioè che alla Consulta siano intervenuti giudici particolarmente sensibili ai diritti umani e fondamentali. Mi riferisco in particolare a Paolo Grossi e a Marta Cartabia. Il ruolo che la Consulta ha avuto nella tutela di questi diritti, sia la tutela attuale che quella in fieri, è straordinario. Come dimostrano quei moniti rivolti al legislatore perché intervenisse per sanare la situazione. È quindi il Parlamento che, a volte distratto da vicende contingenti, altre volte incapace di superare le contraddizioni e i contrasti interni, non ha reagito come avrebbe dovuto. Tornando alle pagine del suo libro, in un passaggio Lei parla del diritto come di una «gabbia». Cioè come di uno strumento che, di volta in volta, può assolvere alla tutela dell’individuo o esercitare una funzione persecutoria. Questo rafforzamento dei diritti e questa lotta per le garanzie ha portato, dopo la Seconda guerra mondiale, alla redazione di testi costituzionali nei quali i diritti fondamentali campeggiano tra diverse posizioni soggettive che sono tutelate in capo all'individuo. Precedentemente, il diritto aveva una funzione “costrittiva”, nel senso che prevalevano altri interessi sui diritti fondamentali. Per tutto l'Ottocento hanno prevalso gli interessi della proprietà e dell'industria. Soltanto di recente è emerso dal conflitto tra tutela dell'iniziativa economica e salute dei lavoratori, la tutela dell'ambiente e della salute collettiva. Ma a forza di inquadrare e catalogare l’individuo attraverso gli strumenti del diritto, non si rischia di “costringerlo”, e di lasciare indietro qualcuno? Certamente. Anche perché ci sono tante situazioni di difficoltà in cui si trova la persona che il legislatore per il momento non ha preso in grande considerazione. Mi riferisco in particolare ai disabili e agli anziani. Si avverte per queste categorie, che sono categorie deboli, un deficit di difesa.