Gentile redazione, ho trovato il tempo e il coraggio di mettere in comune la mia storia grazie alla pubblicazione del collega di Padova, ipovedente. Mi permetto di aggiungere la mia voce per quanti colleghi vivono una situazione simile. Nel corso della professione, nel pieno della attività, ho perso totalmente il visus dell'occhio sinistro (per un infarto cilio retinico - abbastanza raro - causa stress) mentre l'occhio destro si indebolisce a causa dello sforzo cui lo sottopongo per continuare a lavorare. Ebbene sì, noi altri dobbiamo sopravvivere con circa 650 euro mensili, benché il sottoscritto abbia perso almeno il 70% della sua capacità di produrre reddito. A tale riguardo ho chiesto espressamente alla cassa forense di ridurre proporzionalmente gli importi dovuti in ragione della diminuita capacità produttiva, dovendo sopravvivere con euro 650 euro mensili. Ma ad oggi ho incassato solo un "Niet". Non sto qui a dilungarmi e a piangermi addosso, se lo avessi fatto non avrei continuato la professione, ma vorrei chiedere a chi sta nella "stanza dei bottoni" di calarsi nelle nostre realtà, non solo per un attimo. Si può vivere con 650 euro mensili? Si può continuare versare i contributi alla cassa per intero anche quando ti capita un evento che ti riduce la capacità di produrre reddito? Si può immaginare di poter esercitare la professione come se nulla fosse? Soprattutto in questo periodo emergenziale in cui tutto sembra sospeso "sine die" e le udienze rinviate di almeno un anno, anche quelle riservate a sentenza? Abbiamo un mercato del lavoro così flessibile da permetterci di cambiare "mestiere" senza problemi? Non mi dilungo nel parlare del gratuito patrocinio, della impossibilità di portare in detrazione le spese (soprattutto quelle mediche solo al 19%) e di altro. Come se noi avvocati non avessimo una famiglia da mantenere. E allora delle due l'una o si elimina il vincolo di incompatibilità della professione con altri lavori o si consente agli avvocati di scegliere di passare all'INPS. In ogni caso urge creare strumenti che tutelano, anche con efficacia retroattiva, i colleghi iscritti e i loro familiari da eventi imprevedibili. La mia famiglia é monoreddito, con moglie e 6 figli da mantenere, 3 dei quali già all'università. A 53 anni ho ripreso a studiare, nel mentre continuo la professione, per cercare di partecipare a qualche concorso pubblico... Come non sentirsi abbandonato dalle istituzioni, pur riconoscendo che inizialmente ho ottenuto aiuti dalla Cassa Forense e dal Consiglio dell'ordine degli avvocati di Trani. Il problema é che la malattia/invalidità irreversibile non passa e con essa rimangono tutte le necessità quotidiane. Un vecchio proverbio popolare dice: "il sazio non crede al digiuno". Non è una polemica ma uno sfogo, ritengo legittimo, e soprattutto una proposta di cambiamento valida per tutti, perché é nel momento del bisogno che si vede la vera solidarietà, non quella a parole o "una tantum", ma quella concreta e reale. Chiedo, vostro tramite, a chi di dovere di "provare" a immaginare come si vive in queste condizioni, non solo per un mese o per un anno, ma per il resto della vita. Le leggi sono fatte dagli uomini ... e come tali vanno modificate in meglio, applicando la regola d'oro: "Fai all'altro quello che vuoi sia fatto anche a te". Se tanto non è possibile, allora chiediamo insieme ai nostri parlamentari ed ai nostri rappresentanti di ridursi lo stipendio a 650 euro mensili, quanto meno per manifestare concretamente la loro solidarietà. Un cordiale saluto e buon lavoro, avvocato Luigi Maria Giannini, Foro di Trani