A un anno dal giorno in cui il governo Conte emanò il primo dpcm per gestire la sempre crescente crisi legata alla diffusione del covid, gli effetti devastanti della pandemia continuano a dispiegarsi. Anzi, l’impressione è quella – purtroppo – di non aver compiuto passi avanti verso l’uscita da un perenne stato di emergenza. Da un anno, quindi, ogni settore ha dovuto confrontarsi con i nuovi paradigmi imposti dal virus. Ogni ambito della nostra vita è stato irrimediabilmente toccato, direttamente o incidentalmente: e anche il lavoro di moltissimi di noi è diventato improvvisamente “agile” e gli spostamenti di ognuno sono stati fortemente limitati. Tuttavia, in questa drammatica situazione, l’unico risvolto positivo è legato alla circostanza per cui tutti i settori lavorativi hanno dovuto confrontarsi con quell’esigenza di cui da anni si parlava ma che, tuttavia, stentava a prendere piede: la digitalizzazione e l’evoluzione di pratiche ormai datate e non al passo coi tempi. L’obbligata staticità imposta ha reso necessario modernizzare e ripensare, tra le altre cose, il sistema giustizia, inducendo a compiere, ad esempio, quel passo che da anni doveva essere fatto verso il processo penale telematico. Seppure con esiti concreti tuttora insoddisfacenti quanto alla materiale efficacia del portale riservato al deposito degli atti. Ma sempre riguardo al sistema giustizia, si è ripresentato anche il nodo relativo all’esame di Stato per diventare avvocato: e infatti, se la sessione del 2019 è stata salvata in extremis postponendo gli esami orali, il problema si è posto nuovamente con la sessione 2020, per la quale il nodo è stato risolto solo grazie al decreto deliberato poche ore fa in Consiglio dei ministri. Lo scritto era stato fissato per dicembre scorso, poi lo si è rinviato ad aprile. Poi sul suo effettivo svolgimento è emersa, con assoluta evidenza, l’impossibilità di rispettare le date fissate (a metà aprile). Non ci sarebbe stato modo di svolgere un esame con migliaia di candidati, in otto ore, in uno spazio chiuso e senza ovviamente la possibilità di uscire dai locali. Il problema andava risolto in tempi brevi, considerato che erano circa 26mila i praticanti avvocati da mesi in attesa di sapere se avrebbero potuto sostenere l’esame. Un passaggio che può dare accesso al mondo del lavoro, dopo un lungo e dispendioso percorso, il più delle volte affrontato senza alcuna certezza economica e in stato, quindi, di assoluta precarietà. La pandemia, in questo caso, ha indotto a modificare in via eccezionale le modalità di svolgimento dell’esame. Il provvedimento ha inteso eliminare temporaneamente le prove scritte in modo permettere ai candidati la possibilità di abilitarsi con un doppio orale, il primo propedeutico per l’accesso al colloquio tradizionale. Scelta che ha consentito di evitare ulteriori rinvii, e di allontanare sempre più nel tempo la possibilità, per 26mila praticanti, di svolgere a pieno titolo la sudata professione. Sul punto si era espresso favorevolmente, tra gli altri, il presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano Vinicio Nardo, evidenziando come fosse inutile fossilizzarsi sull’irrinunciabilità della prova scritta e ammettendo che, così com’è disegnata, non avrebbe potuto svolgersi ancora per molto tempo. La soluzione adottata è stata temperata in modo tale che, da un lato, l’esame non viene svilito e mantiene quella – giusta – rigidità consona a un così importante ruolo e, dall’altro lato, non è eccessivamente gravoso, tenendo conto dell’ulteriore circostanza per la quale fino all’ultima sessione, i candidati potevano comunque ancora contare sul fondamentale ausilio dei codici commentati. Tra i rimedi per ovviare a problematiche riguardo le tempistiche, si è deciso di incrementare il numero delle commissioni in modo da velocizzare lo svolgimento della prima fase. Il nuovo governo in questo senso ha compiuto un cambio di passo rispetto al precedente, ponendo subito l’attenzione sul punto e dando seguito alla ferma intenzione di uscire dalla impasse. Ma poi, nel futuro, parità di trattamento e principio di uguaglianza, cosa richiederanno? Ricordiamo che i territori concessi in tempi di guerra, difficilmente sono riottenibili – come già annotato dallo scrivente in queste pagine – senza ulteriori compromessi. *Avvocato, direttore Ispeg - Istituto per gli studi economici, politici e giuridici