Andrea Marcucci, capogruppo del Partito democratico al Senato, in vista dell’assemblea nazionale di domenica ritiene necessario «che il Pd torni dalla sua base» e riguardo al rapporto con il Movimento 5 Stelle si smarca tornando a parlare di legge elettorale proporzionale, perché «in questo caso il tema delle alleanze non si porrebbe».

Senatore Marcucci, il Pd si avvicina all’assemblea nazionale dopo giorni tumultuosi seguiti alle dimissioni da segretario di Nicola Zingaretti. Qual è il clima nel partito?

Mi pare che la consapevolezza della gravità del momento sia ben presente in tutti. Per questo, subito dopo le dimissioni di Zingaretti, la mia prima preoccupazione è stata quella di chiedere un accordo unitario. Non ci si può certo presentare divisi all’assemblea nazionale, anche perché un consesso numeroso che si svolge solo online porrebbe problemi tecnici non di poco conto. Quindi io fino all’ultimo chiedo accordo unitario.

Le due ipotesi che la fanno da padrone si dividono tra l’elezione di un reggente che porti a un congresso in breve tempo e quella di un “uomo forte” che possa arrivare fino al 2023. Quale delle due prevarrà?

L’ipotesi del reggente non esiste. Comunque vada domenica dobbiamo votare un segretario nel pieno delle sue funzioni perché non siamo certo nella stagione di poterci permettere altre funzioni più traballanti. Altro discorso è quello del congresso, con tutto quello che è successo in questi anni, serve assolutamente che il Pd torni dalla sua base, per organizzare il futuro. Siamo l’unico partito costituzionale, che ha uno statuto e che convoca congressi veri. In questo momento la possibilità di fare un congresso deve essere vissuta come una grande opportunità e non come un pericolo.

Uno dei punti su cui riflettere sarà il rapporto con il Movimento 5 stelle a guida Conte. Teme che la tempesta interna al Pd possa aumentare la subalternità rispetto ai pentastellati?

Io parlerei piuttosto di legge elettorale. Con il Rosatellum le alleanze sono praticamente obbligatorie per poter competere nei collegi uninominali. Il Pd da mesi però chiede di tornare a un proporzionale con soglia definita, e in questo caso il tema delle alleanze non si porrebbe. Comunque è evidentemente uno dei temi sui quali discutere. E aggiungo soprattutto se il M5S dovesse riconoscersi negli insulti che ci rivolge Casalino, ex portavoce del professor Conte.

Da quali temi, a prescindere dall’alleanza con il M5s, dovrà ripartire il Pd?

C’è una questione che supera le altre in termini di importanza e attiene alla nostra identità. Io credo che si debba tornare alle impostazioni delle origini, ovvero alla vocazione maggioritaria. Il Pd deve tornare ad esercitarla pienamente in un quadro di responsabilità nazionali. In pratica siamo noi che dobbiamo attrarre, piuttosto che essere attratti. Le carte in regola per tornare verso il Lingotto le abbiamo, bisogna ritrovare l’entusiasmo giusto.

Il nome che si fa in queste ore per rinnovare il partito è quello di Enrico Letta, che ha preso qualche ora per decidere. È il nome giusto per il rilancio del Pd?

Le valutazioni spettano all’assemblea nazionale, domenica vedremo le candidature. Letta, per la sua storia, ha un profilo molto autorevole, e rappresenta la sintesi di un riformismo che si compone con diverse matrici culturali. Resta però chiaramente sullo sfondo l’esigenza di un congresso appena sarà possibile.

È corretto affermare che con Letta segretario le possibilità di riavvicinamento tra il Pd e il fronte centrista, con Italia Viva in testa, diminuirebbero rispetto a prima?

Io non vedo nitidamente un fronte centrista, ma alcune sigle che attualmente hanno percentuali da prefisso telefonico. E non credo a un’ ipotesi di un Pd schiacciato a sinistra, perché sarebbe, questo sì, lo snaturamento della nostra storia. Il Pd è stato e continuerà a essere un partito di centro- sinistra, e dovrà continuare a essere la casa dei migliori riformismi.

Sappiamo degli attriti in passato tra Letta e Renzi. Crede che qualcuno nel Pd faccia il nome di Letta proprio per evitare ogni possibile tentativo di riconciliazione con Italia Viva?

Vale quello che ho detto prima, e in ogni caso mi pare che attualmente il primo a guardare altrove sia il leader di Iv.

L'ipotesi di una riconferma di Zingaretti sembra ormai ridotte al lumicino. A bocce ferme, quali sono stati i principali errori del segretario dimissionario nella gestione del partito?

Non avrei usato il termine vergogna. Alla fine credo che sia stato più uno sfogo determinato da una situazione di stress che una valutazione politica. Con lui in questi anni ho lavorato bene e credo che, anche come Presidente della Regione Lazio, rappresenti una risorsa per il centrosinistra anche nel futuro.