Il tesoriere e deputato del Partito democratico, Walter Verini, ritiene che il Pd debba ripartire dalla sua «vocazione maggioritaria», aprendo «porte e finestre del partito alla società».

Onorevole Verini, l’entrata del M5S nella giunta della Regione Lazio è cosa fatta, ma Base riformista non ci sta e parla di «tempi sbagliati». In che acque naviga il Pd?

Penso che nel partito dovrebbe tirare un’altra aria. Il nostro problema è quello di fare un congresso con il Paese. Mentre sosteniamo con grande lealtà il governo Draghi, senza fare ogni giorno propaganda elettorale come fa Salvini ma anzi con proposte concrete ( da ultimo i congedi parentali) bisogna che il Pd tutto insieme ridefinisca il suo profilo e la sua rigenerazione.

In che modo?

Non c’è bisogno di votifici, o dell’ennesimo attacco alla leadership, ma di una forte adesione quotidiana del Pd alle ansie, ai problemi e alle aspirazioni di una società che sta vivendo una delle fasi più drammatiche che il Paese abbia mai conosciuto. Questa è la missione di oggi del Pd: meno diatribe interne e discussioni autoreferenziali e più apertura vera, generosa, genuina verso i cittadini.

Puntando su quali battaglie fondamentali?

Si parla molto di vocazione maggioritaria. È un concetto chiave. Lo ha citato anche Zingaretti in Direzione. Il punto di maggior crisi di questa ispirazione è stato negli anni che hanno portato alla sconfitta del 2018. In quel periodo vennero recise le radici sociali più profonde del Pd. Non mi va di personalizzare ma furono gli anni in cui Renzi fece una scelta molto chiara, spostando il partito verso la disintermediazione con veri e propri attacchi ai sindacati. Io penso che un partito di centrosinistra non possa stare distante dalle fasce più deboli della popolazione e dal mondo del lavoro.

Con la guida di Zingaretti il partito si è spostato verso posizioni più “all’antica”, ma ha anche sostenuto un governo guidato da chi pochi mesi prima aveva firmato i decreti sicurezza. Cosa risponde a chi, anche dall’interno, attacca il segretario?

Zingaretti ha lavorato per recuperare le radici di cui parlavo e il Pd lo ha fatto anche durante il Conte bis con una serie di indirizzi di protezione sociale. Per questo adesso ci sono le condizioni per sviluppare la vocazione maggioritaria, rivalutando quello che veniva definito con ironia il “ma anche”. Vogliamo dare risposte alle forze più fragili, ai lavoratori, ma anche alle imprese, all’innovazione, alle partite Iva. Tra impresa e lavoro non c’è conflitto, ma quella che al Lingotto di Veltroni veniva chiamata “comunità di destino”. Il Pd non parla solo “alle curve”, ma a tutto lo stadio, cioè all’Italia intera. Del resto lo stesso Zingaretti ha bene esercitato sul campo questa vocazione vincendo tre volte in Provincia e Regione, con i voti di tanti strati sociali.

Certo è che un Movimento 5 Stelle a guida Conte potrebbe portare via diversi voti al Pd. Siete preoccupati?

Il fatto di perdere o guadagnare voti dipende in gran parte da noi stessi. Non possiamo avere l’ossessione di quello che fa il M5S, ma se i pentastellati superano la crisi, consolidando un profilo europeista, una presenza nel campo progressista, è una cosa positiva. Così come la possibile intesa alla Regione Lazio.

Eppure secondo alcuni sondaggi la presenza di Conte farebbe diventare il Pd un alleato minoritario del M5S.

Non vivo come un pericolo la presenza di Conte al vertice dei Cinque Stelle. Se il Pd sarà in grado di recuperare un rapporto aperto con la società, declinando in proprio - come si sta facendo - anche proposte innovative legate per esempio alla transizione ecologica, alla parità di genere, alla lotta alla corruzione, alla giustizia “giusta”, alla formazione, allora non dovremo preoccuparci troppo di cosa accade negli altri partiti. Transizione ecologica significa cambiare il modo di produrre, combattere con l’innovazione tecnologica e di vita i cambiamenti climatici. Si tratta di vivere e lavorare meglio, dopo l’incubo della pandemia, favorendo anche la creazione di tantissimi nuovi di posti di lavoro per i giovani.

Poco fa parlava di «vocazione maggioritaria» e in queste ore si vocifera di un accordo tra Zingaretti e Salvini per una legge elettorale di stampo maggioritario. Può confermare?

Il Parlamento ha tutta l’autorità e l’autonomia per discuterne. Le proposte del Pd sono note, ma il quadro politico cambia con velocità e noi dobbiamo rafforzare il bipolarismo. Il centrodestra si presenterà insieme sia alle Amministrative che alle Politiche e, dall’altra parte, noi abbiamo il dovere di costruire un polo progressista. Più il Pd riesce a parlare al Paese e non solo a se stesso e più sarà attrattivo nei confronti degli elettori e delle alleanze. Bisogna fare in modo che siano i cittadini a decidere chi governerà. Ho visto l’ipotesi del capogruppo alla Camera Delrio, di utilizzare in qualche modo a livello nazionale il modello locale dell’elezione dei sindaci. Può essere una strada giusta.

Così da avere la possibilità di correre da soli al primo turno per poi allearvi con il M5S al secondo. È corretto?

Il governo è uno strumento, non un fine. E la nostra proposta è quella di un partito europeo e europeista. Con la direzione di Zingaretti si è evitato il rischio della scomparsa del Pd dopo la sconfitta del 2018 e ora non dobbiamo pensare ad alleanze con i trattini in cui si sommano soltanto le singole forze politiche. Abbiamo portato il M5S nel campo europeista, abbiamo dato discontinuità sui decreti sicurezza. E se oggi si può parlare di riforma del penale e del civile riprendendo in mano anche il tema della riforma del sistema penitenziario è grazie al Pd. L’esperienza di governo con il M5S è stata faticosa ma positiva. Altro che subalternità...

Ora però molti esponenti del Pd chiedono un cambio di marcia. Serve un congresso?

Serve un partito aperto. Nel 2007 riuscimmo a far inserire nel codice etico del partito la necessità di evitare “le cristallizzazioni correntizie”. È giunto il momento di guardarsi in faccia. Ben venga il pluralismo, ma se questo si trasforma in fidelizzazioni in cui le logiche correntizie la fanno da padrone, allora il partito diventa chiuso e asfittico. Abbiamo bisogno di aprire porte e finestre del partito alla società. Faccio un esempio: ci sono sette milioni e mezzo di italiani iscritti all’albo del volontariato. Sono persone che vogliono essere utili agli altri e un partito come il nostro deve aprirsi a queste energie. È questo il congresso che serve al Pd.