Il meccanismo di nomina dei giudici presso la Corte suprema polacca «è passibile di violazione del diritto comunitario». Lo ha stabilito la Corte di Giustizia europea, secondo cui le modifiche legislative relative all’ordinamento giuridico nazionale polacco avrebbero privato un giudice della propria competenza a decidere su ricorsi proposti da candidati a posti di giudice presso la Corte suprema, avverso le decisioni con cui il Consiglio nazionale della magistratura, che non ha presentato la loro candidatura, ha sottoposto quella di altri candidati al Presidente della Repubblica polacca, escludendo la prosecuzione dell’esame dei medesimi o la possibilità di riproporli. Secondo la Corte di Giustizia, i giudici in corsa per la Corte suprema polacca dovrebbero poter fare ricorso contro i pareri dell’organo che valuta i candidati, ovvero il Consiglio nazionale della magistratura (Krs). La sentenza è stata criticata dal viceministro della giustizia Sebastian Kaleta, secondo cui la Corte ha stabilito che «i giudici possono bypassare l’ordine costituzionale polacco con il pretesto di una mancanza di indipendenza, benché in linea con la costituzione questa sia preservata», ha scritto su Twitter. «Lo ha stabilito nonostante i trattati non diano all’Ue nessuna attribuzione in merito all’organizzazione dell’ordinamento giudiziario», ha continuato il viceministro. «Sotto i nostri occhi sta avvenendo un tentativo di federalizzazione europea da parte dei giudici della Cgue in violazione dei trattati e un tentativo di distruggere la sovranità degli Stati membri». La sentenza riguarda questioni preliminari sollevate dalla Corte suprema nel novembre 2018, mentre era in corso l’esame dei ricorsi dei giudici che hanno presentato domanda per ricoprire alcuni posti vacanti presso la Corte suprema. Il tribunale polacco ha chiesto alla Corte di Giustizia se vi fosse una violazione dei principi costituzionali laddove era di fatto impossibile prendere in considerazione i ricorsi contro le risoluzioni del Consiglio nazionale della magistratura. Secondo alcune modifiche legislative introdotte nel 2018, affinché la nomina dei candidati proposti dal krs non fosse giudicata definitiva era necessario che tutti gli altri partecipanti impugnassero la delibera. Un suo eventuale annullamento, in ogni caso, non avrebbe comportato una nuova valutazione del singolo candidato escluso, che in ogni caso non avrebbe potuto contestare un’eventuale erronea valutazione del rispetto, da parte dei candidati, dei criteri. Un regime, secondo il giudice del rinvio, che escludeva qualsiasi effettività del ricorso, motivo per cui ha interrogato la Corte sulla conformità con il diritto dell’Unione. La legge, però, è stata ulteriormente modificata nel 2019, rendendo, di fatto, impossibile proporre ricorsi contro le decisioni del Krs, privando così il giudice del rinvio della propria competenza a pronunciarsi, nonché di ottenere una risposta alle questioni pregiudiziali che aveva sottoposto alla Corte di giustizia. Con una domanda di pronuncia pregiudiziale supplementare, il giudice ha quindi chiesto ai giudici europei se tale nuovo regime sia conforme al diritto dell’Unione. La risposta è stata negativa: tali modifiche, secondo la Corte, sarebbero contrarie al principio di leale cooperazione del Trattato sull’Unione, in quanto escludono qualsiasi possibilità che un giudice nazionale ripresenti in futuro questioni analoghe e che la Corte si pronunci su questioni pregiudiziali. «Simili modifiche - ha affermato la Corte - potrebbero condurre a una mancanza di apparenza di indipendenza o di imparzialità di detti giudici, tale da ledere la fiducia che la giustizia deve ispirare ai singoli in una società democratica e in uno Stato di diritto». E ciò in quanto minerebbero i principi di indipendenza e di imparzialità, soprattutto nei confronti del potere esecutivo. Proprio per questo «l’esistenza di un ricorso giurisdizionale a disposizione dei candidati non selezionati risulterebbe necessaria per contribuire a preservare il processo di nomina dei giudici interessati da influenze dirette o indirette ed evitare, in definitiva, che possano sorgere i dubbi summenzionati». Infine, la Corte ha dichiarato che, se il giudice del rinvio dovesse giungere alla conclusione che l’adozione delle modifiche legislative del 2019 è avvenuta in violazione del diritto dell’Unione, il principio del primato di tale diritto impone a quest’ultimo giudice di disapplicare tali modifiche, siano esse di origine legislativa o costituzionale, e di continuare ad esercitare la competenza, di cui era titolare, a pronunciarsi sulle controversie di cui era investito prima dell’intervento di dette modifiche.