«L’anno della pandemia ha visto gli uffici del pubblico ministero nell’intero territorio nazionale impegnati a svolgere responsabilmente il loro fondamentale ruolo. Non sempre al clamore delle indagini e degli arresti ha però corrisposto pienamente la conferma nelle fasi successive. Questa discrasia, quando significativa, dovrà essere oggetto di attenta analisi in sede di ricerca dell’uniformità nell’esercizio dell’azione penale e quindi anche nelle indagini preliminari». Quello che il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi dedica alle inchieste spettacolo è solo un piccolissimo passaggio. Ma rimane comunque potentissimo, a fronte di una relazione di oltre 300 pagine che analizza un anno complicatissimo per la giustizia, devastata dal Covid e costretta a fare i conti con nuovi strumenti per non rischiare l’empasse. Il passaggio è delicato e tocca la questione della presunzione di innocenza, spesso dimenticata e sostituita con una condanna mediatica a priori, spesso irreversibile, anche dopo le assoluzioni pronunciate nei luoghi deputati al processo. Ed è forte la critica pronunciata da Salvi, nel corso del suo intervento in Cassazione, all’eccesso di protagonismo, alla ricerca smodata di consenso, all’uso del processo penale come risposta alle pulsioni della pubblica opinione e non come applicazione delle norme. «È ricorrente la polemica circa dichiarazioni rese dai magistrati del pubblico ministero. La moderazione nelle dichiarazioni, resa necessaria dalla precarietà dell’accertamento non ancora sottoposto alla piena verifica del contraddittorio, è manifestazione della professionalità del capo dell’ufficio - ha dichiarato il procuratore generale -. La comunicazione nei toni misurati e consapevoli deve essere tale da evitare anche solo il sospetto che non la fiducia della pubblica opinione sia cercata ma il suo consenso. Questa sarebbe la fine dell’indipendenza del pubblico ministero». Ma non solo: affidare al diritto penale «l’orientamento valoriare di un aggregato sociale» vuol dire snaturarlo, portando «rischi preoccupanti». Così facendo, infatti, «si esigerebbe dalla giurisdizione che le sentenze dei giudici non applichino solo norme, ma veicolino contenuti ritenuti giusti e tali non perché ricavati dalla Carta fondamentale, ma dal sentimento, dalle passioni, dalle emozioni dei cittadini». E ciò, ha avvisato Salvi, porterebbe le politiche pubbliche a non affrontare i fenomeni criminali sulla base della loro natura, spostandosi soltanto «suoi risvolti punitivi». Si tratta di quella che il procuratore generale ha definito «la tentazione del governo della paura», che «ha riflessi anche sul pubblico ministero», in quanto «dal desiderio di assecondare la rassicurazione sociale all’idea di proporsi come inquirente senza macchia e senza paura, che esporta il conflitto sociale e combatte il nemico, il passo non è troppo lungo».

«Avvocatura e magistratura unite nell'affermare i valori costituzionali»

Salvi ha aperto il suo discorso rivolgendo un saluto anche all’avvocatura, «alla quale siamo legati dal comune sentire nell’affermare i valori costituzionali e che nell’esercitare in autonomia il suo ruolo garantisce anche la nostra indipendenza e alla quale va dunque il nostro rispetto», passaggio che corrisponde perfettamente alla base teorica della riforma per l'avvocato in Costituzione. Ricordando i magistrati caduti nell’esercizio della propria funzione, il pg ha ricordato lo scandalo che ha travolto la magistratura, resa meno credibile da «un sistema diffuso di asservimento del governo autonomo a logiche di interessi di gruppo, che ha consentito anche condotte di assoluta gravità, alcune delle quali in precedenza mai verificatesi». Per evitare tali degenerazioni, «sono state emanate linee guida» per distinguere i casi di effettiva rilevanza disciplinare da quelli di carattere etico e deontologico. Ma è evidente, si legge nella relazione, «che la disciplina non può che essere parte di un impegno ben più vasto, nel quale la sanzione non sia che l’aspetto residuale, l’ultima ratio. Non dobbiamo riprodurre nel giudizio disciplinare le dinamiche degenerative che hanno afflitto il diritto penale, così da farne non il luogo eccezionale della violazione del precetto tipico, ma quello di un diritto punitivo etico».

Il Covid e la sfida degli uffici giudiziari

L’emergenza Covid, ha sottolineato Salvi, ha spinto gli uffici giudiziari a sfruttare la tecnologia per non fermare la giustizia. Una sfida, tutto sommato, vinta, secondo il procuratore generale. «La giustizia ha molto sofferto - ha sottolineato -. Abbiamo avvertito innanzitutto il peso della nostra arretratezza, soprattutto nella diffusione del processo telematico. L’esperienza ha infine generato, anche grazie all’impegno indefesso del ministero della Giustizia, aspetti positivi, sui quali dobbiamo ora operare per non disperdere il patrimonio accumulato, cogliendo le opportunità che si aprono per l’innovazione organizzativa della giustizia nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza». Ma non solo: la pandemia ha aumentato il livello di condivisione tra gli uffici requirenti, «che vede al centro l’impegno per l’uniforme esercizio dell’azione penale, secondo i principi della correttezza dell’agire del pubblico ministero e del perseguimento dell’obiettivo della ragionevole durata del processo, in ogni sua fase». Rimane abnorme il contenzioso nel settore della protezione internazionale e in quello tributario, a causa di contrasti interpretativi che impediscono «la celere definizione dei processi sulla base del precedente consolidato e determinano sin dal giudizio di primo grado intollerabili disparità di trattamento di posizioni eguali».

Carcere, estremismo di destra e femminicidi

  Un passaggio viene anche dedicato alla diffusione del virus nelle carceri, che ha reso evidente un problema annoso: «l’esclusione degli “ultimi” dai benefici a causa della loro marginalità sociale». Da qui l’impegno «per rendere disponibili alloggi e programmi di inserimento per i detenuti con pene brevi residue». Il pg ha anche fatto il punto sulle rivolte nelle carceri, sottolineando che i nove detenuti morti nell’istituto di Modena «sono deceduti per l’assunzione di sostanze stupefacenti sottratte dalla farmacia e non per violenze esercitate nei loro confronti durante la rivolta dell’8 marzo a Modena». Ma la pandemia ha fatto emergere anche l’uso strumentale della paura, soprattutto dai partiti estremisti di destra: «Le formazioni vicine all’estremismo ed eversione di destra, negli ultimi mesi, hanno dimostrato interesse contro le politiche governative in tema di contenimento del Covid-19 e hanno cercato di sfruttare la particolare situazione problematica per incitare alla disobbedienza e ad atti di violenza, strumentalizzando il disagio economico e sociale diffuso in diversi strati della cittadinanza». Fenomeno al quale si associa «il riproporsi di antiche pulsioni razziste e antisemite, che si saldano a nuovi mezzi di comunicazione e all’affermarsi di movimenti che si richiamano al suprematismo bianco». Segnalato, infine, il calo degli omicidi, che solo in minima parte ha riguardato i femminicidi, divenuti «proporzionalmente tra le principali cause di omicidio».