«Il diritto alla difesa viene dopo il diritto alla salute». Lo ha detto un magistrato della Procura generale di Milano - non importa chi, non ci interessano le guerre personali - nel corso di un processo in Corte d'appello. Il magistrato in questione ha dichiarato senza mezzi termini che l’appello dell’avvocato fosse «troppo dotto e inutilmente lungo» e per convincere il giudice della bontà della sua affermazione ha citato l’emergenza pandemia: sempre valida e sempre spendibile.

Ci chiediamo se non sia anomalo che un magistrato della Procura generale, uno degli attori principali della giurisdizione, stili, di fatto, la classifica dei diritti, decretando quelli di serie A e quelli di serie B. Certo, tutti noi abbiamo ancora negli occhi le immagini drammatiche di Bergamo e il corteo funebre dei camion militari che trasportano le salme delle centinaia di morti di Covid; ma non per questo ci sogneremmo mai di sminuire e svalutare gli altri diritti. Se cadiamo nella trappola della contrapposizione rischiamo di modificare in modo irreversibile il dna dei nostri valori e la storia del nostro diritto. I magistrati dovrebbero essere al fianco degli avvocati nel difendere quella storia perché in ballo c’è la credibilità di tutti, anche la loro. E non vorremmo dover piangere anche la salma della Giustizia: “Vittima collaterale” di questa terrifica pandemia.