Prendete l'assunto, più o meno diffuso, che la dittatura dei social sia alle porte. Applicatelo al caso americano: dopo i fatti di Capitol Hill, Twitter ha sospeso l’account di Donald Trump per 12 ore. Poteva farlo? Ora, con uno sforzo di elasticità, rovesciate il quesito: le regole di utilizzo dei social si applicano al presidente degli Stati Uniti come ad ogni altro utente?

Luciano Floridi, filosofo e professore ordinario di etica dell'informazione a Oxford, pensa di sì. E per commentare la decisione del colosso dei social ricorre a un’espressione anglosassone: “too little, too late”, troppo poco, troppo tardi.

Professore, non la preoccupa quindi che i cosiddetti “giganti del web” dispongano di un tale potere anche quando si tratta del Presidente degli Stati Uniti?

Bisogna fare un distinguo. Un conto è la questione universale, che mi preoccupa certamente: le piattaforme social dispongono di quella che definiamo “sovranità digitale”, in un territorio non ancora regolamentato. Facebook e Twitter hanno un enorme potere di controllo sulle nostre società. Gli abbiamo lasciato le chiavi di casa.

Però?

Le regole del gioco, per ora, sono queste. E vanno applicate indistintamente, per ogni utente. ll problema, semmai, sta a monte: non sono affatto contento di queste regole, andrebbero riformate e stabilite per legge. Il problema è capire chi detiene il potere. Perché, parafrasando le parole di Orwell in 1984: «Chi controlla le domande dà forma alle risposte. E chi dà forma alle risposte, controlla la realtà».

Chi decide, invece, cosa è giusto e sbagliato?

Ponendo il problema in questa dialettica, è certo che non debbano essere loro: i “padroni” dell’Infosfera.

Ci spieghi meglio.

Una volta si diceva che il potere è nelle mani di chi controlla i mezzi di produzione. Poi il potere è passato ai mass media. E oggi, la stampa è nelle mani dell'industria digitale. Il potere ' grigio', insomma, si è spostato: non sta più nella produzione delle cose, ma nella possibilità di trasmettere o meno l'informazione sulle cose. E non è una buona idea lasciare che questi colossi del web decidano le sorti dell’informazione.

A proposito di regolamentazione, a che punto siamo?

Sono sufficientemente ottimista, si intravedono passi nella direzione giusta. Non ritengo, come altri sostengono, che sia ormai troppo tardi per fare ordine. O che una legislazione troppo stringente possa compromettere le sorti di un intero settore. Il processo deve essere lento, perché sia cauto. Ogni passo sbagliato, può provocare danni irrimediabili. La legislazione determina la direzione di sviluppo, non la velocità. E soprattutto a livello europeo, la legislazione in materia sta agendo come una morsa che definisca il perimetro di azione di queste aziende.

Sarebbe auspicabile, a suo parere, una normativa sovranazionale che disciplini il settore?

Non sono un giurista. Ma da un punto di vista etico, è sicuramente necessario un approccio sovranazionale. Legherei questo tema non solo all'universalità di principi, ma anche alla loro efficacia. Con i colossi, bisogna gestire le cose da colossi. E credo che in questo l'Europa abbia le spalle abbastanza larghe.

L’ingerenza di questi “giganti” nelle nostre società ci trova forse impreparati, ma non è una novità. Si è detto del ruolo assai controverso dei social nelle campagne elettorali, come nel caso Brexit.

Pensi a quanto piccola è stata la differenza di voti tra il fronte del “leave” e del “remain”. Parliamo del 2 per cento, un capitale di voti che una campagna robusta sui social può facilmente spostare. Smettiamo di credere che le piattaforme siano neutrali. Il mantra risulta falso non solo socialmente, ma anche tecnicamente.

Come ha dimostrato lo scandalo, ormai archiviato, di Cambridge Analytica?

Qui si pone il problema della privacy. L’aspetto più preoccupante non è tanto - o non solo - che queste aziende abbiano un'enorme mole di dati sui propri utenti. Il problema si pone quando questo vantaggio si salda con il potere politico e legislativo. Nel mondo occidentale, le due linee restano ancora sufficientemente separate. Mentre nel caso di Cambridge Analytica si sono incrociate. Quando lo Stato mette le mani su questo potere, come avviene in Cina, ad esempio, non c’è da scherzare.

Lei ha parlato di etica applicata alle leggi. E, insieme a Marco Bentivogli, ha fondato l’associazione Base Italia che persegue finalità culturali e sociali al servizio di una “buona” politica. Ritiene che serva più filosofia per governare? È la rivincita delle scienze “molli”?

Non le definirei molli, ma delicate. Le scienze “dello spirito” hanno parametri più flessibili. Tanto più ci si avvicina alla matematica, tanto più i parametri di vero e falso, di giusto e sbagliato, si restringono. Paradossalmente, ciò che sembra più difficile - come la matematica, per semplificare - è in realtà più facile. Mentre è complicato bilanciare le cose: gli aspetti economici con quelli sociali e di sviluppo della persona, per essere all’altezza di una politica del 21esimo secolo. Di filosofia, come il sale in cucina, serve un pizzico ovunque.