Salutiamo calorosamente anche noi l’inizio di collaborazione dell’ex magistrato Piercamillo Davigo con il Fatto Quotidiano. Il suo esordio è sulla questione carceraria, ma è giusto fargli presente che - senza accorgersene - ha di fatto riesumato la vecchia fake news dell’amministrazione penitenziaria precedente quando parlava di “sovraffollamento virtuale” e che addirittura avanzassero posti in cella. Nell’epoca dei movimenti tipo QAnon dove la teoria del complotto si alimenta anche delle fake news dei giornali, la responsabilità di riportare correttamente le notizie si fa sempre più pressante. D’altronde, lo stesso direttore del Fatto Quotidiano, fino a qualche tempo fa negava il sovraffollamento e addirittura pubblicò un editoriale sostenendo l’esistenza di ulteriori posti disponibili. Ora però bisogna dargli assolutamente atto che, per replicare a Saviano, ha ritrattato ammettendo che «non c’è dubbio» sul fatto che «le strutture siano affollate e in parte fatiscenti». Possibile che Travaglio non abbia avvertito Davigo? Allora ci permettiamo di farlo noi.

I CONTI DI DAVIGO NON TORNANO

 

Davigo scrive: «Cominciamo dai fatti: secondo i dati del ministero della Giustizia, al 31 dicembre 2020 nelle carceri italiane erano detenuti 53.364 uomini e 2.255 donne per un totale di 55.619 unità, a fronte di una capienza regolamentare di 50.562 posti». Poi aggiunge: «Una nota ricorda però che i posti sono calcolati sulla base del criterio di 9 mq per il primo detenuto più 5 mq per gli altri ( lo stesso per cui in Italia viene concessa l'abitabilità alle abitazioni civili; una superficie più elevata della media europea)». Ebbene sì, cominciamo dai fatti. La capienza regolamentare che riporta il Dap è quello che effettivamente risulta sulla carta, ma – come ha recentemente ribadito il garante nazionale Mauro Palma – i posti effettivamente disponibili si aggirano attorno ai 47.000. Ed ecco il primo sbaglio di Davigo. Il dato, invece, dimostra che il sovraffollamento persiste. Un problema già in una situazione normale, figuriamoci ai tempi odierni di pandemia dove risulta difficile prevedere l’isolamento dei detenuti che devono essere poste in quarantena o in isolamento precauzionale. Questo è un fatto, e non è colpa di Davigo se ha sbagliato a snocciolare i dati: che ne poteva sapere visto che non riguarda il suo campo? È facilissimo prendere abbagli quando non si conosce a fondo il complesso sistema penitenziario.

Ora passiamo al calcolo dei posti sulla base dei 9 mq come sottolinea Davigo. Detta così sembra che effettivamente il sovraffollamento sia dovuto dal fatto che i detenuti stanno troppo larghi in cella. Allora altro che costruire nuove carceri come Davigo suggerisce più avanti nel suo articolo! Visto che lo spazio accettabile per il detenuto è di 4 mq, teoricamente avanzerebbe tanto di quello spazio nelle celle che potrebbero metterci tutti quei detenuti in eccesso. Qualcosa non torna, quindi cerchiamo di fare un po’ di chiarezza. Il parametro dei 9 mq è solo sulla carta. Non si può fare un discorso puramente geometrico, perché in questo modo astrattamente potremmo mettere diversi detenuti in una unica cella e ciò non è possibile farlo concretamente, a meno che non si abbattano le mura per fare un enorme camerone.

Per capire meglio, bisogna comprendere che lo spazio disponibile di tre metri quadrati per ogni persona è la soglia minima al di sotto della quale scatta la violazione del diritto umano ( è accaduto con la sentenza Torreggiani) e non la si può considerare uno standard. In Italia, il parametro di riferimento è di 9 metri quadrati che vale per il primo arrivato in una cella, più 5 metri per ogni nuovo detenuto e in celle che prevedono al massimo 4 posti. Questo parametro, che per altro è quello di abitabilità delle abitazioni civili, è chiaramente eccessivo. Basterebbe applicare il parametro della Commissione Europea per la prevenzione della tortura: 7 metri quadrati, più 4 per ogni nuovo detenuto in una cella. Anzi, ultimamente si calcola che 6 metri quadrati, più 4 quindi, e quindi in 14 metri quadrati ci possono vivere 4 persone. Ma bisogna appunto essere molto rigidi e controllare lo standard: non si può dire che abbiamo un parametro così alto di 9 mq, ma poi non lo si rispetta. Senza contare che anche dentro uno stesso carcere convivono tipologie di sezioni che presentano punte maggiori di sovraffollamento tra di loro. Anche questo è un fatto che però l’ex magistrato evidentemente non conosce. C’è una complessità di situazioni che devono essere considerate.

«COSTRUIAMO NUOVE CARCERI!»

 

Ma Davigo, giustamente, non si fossilizza troppo sul dato effettivo del sovraffollamento. Ammesso che ci sia, dice, non si capacita sul fatto del perché non si chiede l’aumento dei posti disponibili, anziché di “liberare” i detenuti. Anche qui, in soldoni, rispolvera l’antico slogan reazionario «Costruiamo nuove carceri!». Eppure, dal dopoguerra in poi, i numeri degli istituti sono aumentati, con il risultato di essere riempiti nuovamente tutti. Motivo per il quale, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ( Cpt) disse all’Italia che costruire nuove carceri per risolvere il problema del sovraffollamento non è la strada giusta, perché «gli Stati europei che hanno lanciato ampi programmi di costruzione di nuovi istituti hanno infatti scoperto che la loro popolazione detenuta aumentava di concerto con la crescita della capienza penitenziaria». Viceversa, «gli Stati che riescono a contenere il sovraffollamento sono quelli che hanno dato avvio a politiche che limitano drasticamente il ricorso alla detenzione». Davigo forse non sa che c’è un numero consistente di detenuti senza fissa dimora o che non hanno la possibilità e strumenti per accedere ai benefici. A questo si aggiunge il fattore culturale: si tende a criminalizzare le misure alternative e la magistratura tende a darle di meno. Ma a Davigo interessa un po’ prendersela con chi ha intrapreso lo sciopero della fame per chiedere misure deflattive più incisive. Non fa il nome, ma è Rita Bernardini del Partito Radicale e i giuristi che la sostengono. Il senso del suo discorso è: ma mica è come Gandhi che aveva motivi seri per digiunare! Eppure parliamo di vite umane a rischio, solo in questa seconda ondata sono morte già una decina, perfino alcuni al 41 bis. Non solo. A causa della mancanza di spazi, non è stata possibile una gestione sanitaria da evitare grossi focolai com’è accaduto recentemente a Tolmezzo. E poi ci sono i problemi irrisolti di sempre: suicidi, disagi psichici, incompatibilità con il carcere. Non sono motivi seri per digiunare?

Ma non interessa, Davigo ha voluto invece riflettere sul «buon senso». Quale? Applicare la repressione come fanno tutti gli Stati del mondo. A parte che sarebbe bello analizzare caso per caso gli altri Paesi, il buon senso dovrebbe essere il dubbio, interrogarsi sul crescente ricorso alla detenzione come strumento di gestione delle molte contraddizioni che abitano le nostre società. Magari riflettere sull’uso smodato del ricorso in carcere. Il susseguirsi di leggi più repressive, di “spazzacorrotti” che allargano la preclusione dei benefici penitenziari ad altri tipi di reato. Una bulimia carcerocentrica che poi a forza di tirare la corda, si arriva al punto che scoppia la rabbia, si scatenano le rivolte, ne conseguono le 14 morti e presunti pestaggi come reazione. Oltre al fatto che i tribunali si intasano. Chiaro che non reggerà il sistema. A quel punto lo stesso Davigo stesso, da persona corretta, reclamerà sulle pagine de Il Fatto l’urgenza di un’amnistia.