«Chi sostiene gli allontanamenti facili andrebbe ucciso». Questa frase è solo una delle tante rivolte all’avvocato Marco Scarpati, tra i massimi esperti in Italia di diritto minorile e reo di essere stato coinvolto - per poi essere totalmente scagionato - nell’ormai famigerato “caso Bibbiano”. Una minaccia, quella scritta su Facebook da un utente registrato sotto falso nome, che rappresenta solo l’ennesima tra le tante ricevute nell’ultimo lunghissimo anno, tra il blitz e l’inizio del processo, fissato il 30 ottobre con l’udienza preliminare che deciderà se mandare o meno a processo 24 persone, sulle quali pendono, complessivamente, di 108 capi d’accusa.

Scarpati dalla vicenda è uscito quasi subito. Non abbastanza presto, però, da evitare la gogna mediatica e la stigmatizzazione sociale, rimastagli attaccata addosso nonostante lui, in questa vicenda, non c’entrasse proprio nulla.

E nonostante nemmeno l’accusa iniziale - abuso d’ufficio, per l’assegnazione dell’incarico di consulente legale dell’Unione della Val d’Enza - avesse nulla a che vedere con la terribile ipotesi accusatoria avanzata dalla procura: che cinque bambini siano stati strappati ingiustamente alle famiglie, accusate di abusi inesistenti, per favorire il business degli affidi. Se ciò sia vero e in che misura è ancora da stabilire. Ma nel frattempo tale vicenda ha fatto le sue vittime. I bambini, in primo luogo, sia che l’ipotesi della procura sia vera, sia che non lo sia. Ma anche chi, come Scarpati, non ha niente a che vedere con questa storia. Per non parlare, poi, delle più elementari norme dello Stato di diritto: per i “mostri”, secondo il tribunale del popolo, non c’è diritto di difesa che tenga: l’unica soluzione è la gogna.

L’occasione per scatenare di nuovo il coro di insulti e minacce è stata la conferenza stampa organizzata venerdì scorso dal Partito Radicale, alla quale ha preso parte Claudio Foti, il controverso psicoterapeuta coinvolto nella vicenda con tre capi d’accusa: concorso in abuso d'ufficio, frode processuale e lesioni personali gravissime. La conferenza stampa aveva uno scopo: raccontare la costruzione del mostro, attraverso una distorsione scientifica di pezzi dell’indagine, dati in pasto ai media senza rispettare nemmeno gli obblighi di segretezza ancora imposti per alcuni atti. E la colpa di Scarpati, nell’ultimo capitolo della sua personale gogna, è aver partecipato a quella conferenza stampa, pur manifestando la sua distanza dal “metodo” Foti. Insomma, il tema non era - e non potrebbe essere - una revisione di verità non ancora pronunciate, ma una condanna del sensazionalismo mediatico che distrugge chiunque incontri sul proprio cammino.

Scarpati era lì come esempio: un uomo innocente, un’innocenza questa sì certificata, ma comunque colpevole di essere finito tra i nomi dell’inchiesta. E così tra le varie accuse di essere «criminali», tra gli auspici che i presenti potessero «provare lo stesso dolore», anche quello di un’esecuzione vera e propria. «Oggi, un signore di Torino, su Facebook ha scritto un post di puro odio nei miei confronti, e questo perché ho partecipato alla conferenza stampa del Partito Radicale sul caso Bibbiano - ha scritto Scarpati sabato sul proprio profilo Facebook -. Alla fine mi minaccia di morte e chiede che io venga ucciso. Sto scrivendo la denuncia alla polizia postale. Non voglio dare alcun avallo agli odiatori che promettono morte. Adesso basta. Pagheranno tutto».