Chi prevarrà nel referendum confermativo sulla riforma costituzionale che taglia un terzo dei parlamentari è incerto. Sulla carta non dovrebbe esserci partita, avendo praticamente tutti i partiti votato a favore della riforma, almeno nella quarta e ultima votazione. Per ora, però, solo M5S e FdI si sono espressi apertamente a favore del Sì e i dubbi di tutti gli altri, nonostante il voto a favore in aula, sono tanto macroscopici quanto vistosi. A destra Lega e Fi hanno ben poca voglia di spendersi per un referendum in cui i soli a intestarsi la vittoria del Sì sarebbero i 5S. A sinistra Renzi lascerà libertà di voto. All'interno di LeU la componente di Sinistra italiana si è già espressa per il No, quella di Art. Uno glissa. Il Pd si nasconde dietro la foglia di fico della mancata riforma elettorale, che non arriverà neppure all'approvazione di uno dei due rami del Parlamento prima dell'apertura delle urne e anche se ci arrivasse significherebbe ben poco dal momento che ci sarebbe modo di cambiare tutto prima del secondo voto. Alla fine, controvoglia, Zingaretti inviterà a votare Sì ma non per le virtù della riforma. Solo per fare contenti i 5S e non è affatto detto che all'elettorato del Pd la motivazione suoni convincente. Tanto più che si moltiplicano le boacciature: ultima quella pesantissima di Romano Prodi.

Alla scarsa, per non dire nulla, convinzione dei partiti che hanno votato la riforma si devono aggiungere altri elementi che tengono la partita aperta. Gli elettori del No sono senza dubbio più agguerriti e motivati. L'astensionismo, almeno nelle regioni dove il voto referendario non è accorpato a quello per le regionali, penalizzerà più il Sì che il No. L'esperienza dimostra poi che gli italiani, quando si tocca la Costituzione, sono piuttosto conservatori e portati naturalmente più a bocciare che non a sostenere le riforme della Carta.

La partita tra il Sì e il No alla riforma resta dunque aperta. Ma chi sarà comunque sconfitto è invece già evidente: sarà la politica. La riforma in sé si avvicinava infatti già al grado zero della politica. Qualunque cosa se ne pensasse la riforma di Renzi, bocciata dagli elettori, rispondeva a un progetto politico. La riforma del Titolo V rocambolescamente varata dal centrosinistra nell'ultimissimo scorcio della legislatura 1996- 2001 era la risposta, sbagliata e negli esiti fallimentari, a un problema reale che da anni condizionava la politica italiana, la richiesta diffusa di un maggiore federalismo. Anche la riforma varata dal centrodestra e bocciata dal referendum nel 2006 rifletteva una visione di architettura istituzionale. Questa è la prima volta che una revisione della Costituzione viene derubricata a spot pubblicitario, oltretutto a favore di un singolo partito, tanto che persino tra chi la sostiene molti giustificano l'appoggio spiegando che, essendo di portata modestissima, non farà comunque gran danno. L'iter ha però peggiorato di molto la già incresciosa situazione. Come se non bastasse la giravolta assurda con cui Pd e LeU, dopo averla bocciata per tre volte, hanno approvata in quarta la lettura come prezzo da pagare ai 5S per dar vita al secondo governo Conte, arriva ora l'ufficializzazione del mercimonio aperta e sfrontata, svergognata anzi, in campagna elettorale. Il Pd neppure prova a fingere di apprezzare la riforma. Mette in campo come unico argomento valido la necessità di tenersi buoni i 5S, senza rendersi conto che questa promozione sul campo dei pargoli di Grillo e emuli di Ghino di Tacco avrà in futuro costi immensi. Certi ricatti vanno fermati subito, altrimenti poi diventa impossibile farlo.

Lo stesso dibattito sulla legge elettorale ha rapidamente acquisito, in virtù della riforma, caratteri surreali. La ratio della riforma elettorale non è più cercare, dopo decenni di esperienze desolanti, di varare una legge efficace, capace di tenere in equilibrio le esigenze della governabilità e quelle della rappresentanza. Si tratta invece di studiare una legge capace di mitigare gli effetti perversi di una riforma in sé dannosa ma che non si può non appoggiare perché i 5S, che rappresentano ormai una minoranza se non infima certo neppure troppo significativa dell'elettorato, la prenderebbero male.

Comunque vada a finire, una vicenda tanto tortuosa e obliqua evidenzia senza alcuna pietà i limiti forse insormontabili non di una specifica architettura costituzionale ma di un intero sistema politico che non riesce più a fermare la degenerazione.