Nella Repubblica Popolare Cinese le preoccupazioni per la prevenzione e il controllo delle malattie infettive, alla luce dell’emergenza sanitaria da Coronavirus non ancora conclusa, si sono certamente acuite. In questa cornice, il 24 febbraio 2020 la Commissione permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo ( vale a dire, il Parlamento nazionale della RPC) ha adottato la Decisione di vietare completamente il commercio di fauna selvatica illegale, eliminando la «cattiva abitudine» di mangiare la fauna selvatica e allo scopo di garantire la salute delle persone e la sicurezza. Il provvedimento ha, dunque, la duplice finalità di tutelare la fauna selvatica e di prevenire le malattie.
Viene vietato non soltanto il consumo della carne di animali selvatici, ma anche la loro caccia, il commercio e il trasporto. Tutto risolto per gli animali selvatici, e la salute umana? Non proprio, perché nel diritto cinese si distingue tra animali di specie selvatica che vivono in libertà e, invece, gli animali che appartengono alle medesime specie e che, però, possono essere allevati. Ii questo secondo caso, i divieti di cui sopra non trovano applicazione.
Rimane, poi, aperta, una ulteriore e grave questione. Si fa riferimento al consumo alimentare di cani e gatti, tuttora lecito ( nel senso di non espressamente vietato) nella Cina popolare. Nulla quaestio sul fatto che si tratti di un aspetto della “cultura” ( alimentare) della Cina. Ma la crisi sanitaria potrebbe indurre a ripensamenti.
Ancora oggi le modalità di produzione di carne canina e felina sono alquanto carenti sotto il profilo della sanità pubblica. Vi sono state anche proteste in Cina, volte a impedire il trasporto di cani e gatti per uso alimentare. Le proteste hanno fatto diminuire il volume dei trasporti medesimi, cosicché le autorità cinesi hanno evidenziato che il fenomeno è ora in diminuzione, o almeno sotto controllo.
Del resto, un’indagine d’opinione condotta dalla televisione statale cinese ( CCTV) nel 2016 ha mostrato che il 64,0 per cento degli intervistati è favorevole al bando del consumo della carne di cane, il 24,4 per cento è contrario e il rimanente 11,6 per cento è indifferente.
Le “altre Cine” hanno già disposto diversamente. A Hong Kong, l’ordinanza sui cani e gatti del 1950 è stata modificata nel 1999 per porre il divieto assoluto del consumo alimentare di carne canina e felina, sia da parte dell’uomo che altrimenti. Anche a Macao, la legge sulla protezione degli animali del 2016 prevede, per chi uccide gli animali, tra cui cani e gatti, illegalmente ( incluso per finalità alimentari), l’irrogazione di una sanzione pecuniaria nonché della reclusione fino a tre anni. A Taiwan, la legge sulla tutela degli animali del 1998 è stata emendata nel 2017 per porre ( inter alia) il divieto del consumo alimentare della carne di cani e di gatti, nonché dei prodotti alimentari che comunque contengano tali elementi.
Qualche segnale, peraltro, si è recentemente registrato, a livello locale, anche nella Cina continentale. La città di Shenzhen, nella Provincia di Guangdong, ha introdotto il divieto, vigente dal 1° maggio 2020, di cibarsi della carne di cani e gatti. A sua volta, la città di Zhuhai, che si trova nella Provincia appena menzionata, ha seguito l’esempio di Shenzhen, stabilendo analoga proibizione, in vigore dalla medesima data.
A livello nazionale, la Repubblica Popolare Cinese potrebbe dunque muoversi nella stessa direzione, con diverse modalità. È ipotizzabile, infatti, l’emanazione di una normativa ad hoc, oppure l’inserimento di apposite previsioni nella legge nazionale sulla prevenzione e il trattamento delle malattie infettive del 2013, oppure nella legge cinese sulla prevenzione delle malattie animali del 2015. Se, poi, consuetudini etnico-“culturali” locali appaiono tuttora radicate, per esempio a Yulin nella Regione Autonoma di Guangxi ( dove ha avuto luogo anche quest’anno, dal 21 al 30 giugno, lo “Yulin Dog Meat Festival”) e a Xuzhou nella Provincia di Jiangsu, si potrebbe forse pensare a disposizioni speciali ( magari di natura transitoria).
In Cina aumentano i divieti per proibire il consumo della carne di cani e gatti
Nella Repubblica Popolare Cinese le preoccupazioni per la prevenzione e il controllo delle malattie infettive, alla luce dell’emergenza sanitaria da Coronavirus non ancora conclusa, si sono certamente acuite. In questa cornice, il 24 febbraio 2020 la Commissione permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo ( vale a dire, il Parlamento nazionale della RPC) ha adottato la Decisione di vietare completamente il commercio di fauna selvatica illegale, eliminando la «cattiva abitudine» di mangiare la fauna selvatica e allo scopo di garantire la salute delle persone e la sicurezza. Il provvedimento ha, dunque, la duplice finalità di tutelare la fauna selvatica e di prevenire le malattie.
Viene vietato non soltanto il consumo della carne di animali selvatici, ma anche la loro caccia, il commercio e il trasporto. Tutto risolto per gli animali selvatici, e la salute umana? Non proprio, perché nel diritto cinese si distingue tra animali di specie selvatica che vivono in libertà e, invece, gli animali che appartengono alle medesime specie e che, però, possono essere allevati. Ii questo secondo caso, i divieti di cui sopra non trovano applicazione.
Rimane, poi, aperta, una ulteriore e grave questione. Si fa riferimento al consumo alimentare di cani e gatti, tuttora lecito ( nel senso di non espressamente vietato) nella Cina popolare. Nulla quaestio sul fatto che si tratti di un aspetto della “cultura” ( alimentare) della Cina. Ma la crisi sanitaria potrebbe indurre a ripensamenti.
Ancora oggi le modalità di produzione di carne canina e felina sono alquanto carenti sotto il profilo della sanità pubblica. Vi sono state anche proteste in Cina, volte a impedire il trasporto di cani e gatti per uso alimentare. Le proteste hanno fatto diminuire il volume dei trasporti medesimi, cosicché le autorità cinesi hanno evidenziato che il fenomeno è ora in diminuzione, o almeno sotto controllo.
Del resto, un’indagine d’opinione condotta dalla televisione statale cinese ( CCTV) nel 2016 ha mostrato che il 64,0 per cento degli intervistati è favorevole al bando del consumo della carne di cane, il 24,4 per cento è contrario e il rimanente 11,6 per cento è indifferente.
Le “altre Cine” hanno già disposto diversamente. A Hong Kong, l’ordinanza sui cani e gatti del 1950 è stata modificata nel 1999 per porre il divieto assoluto del consumo alimentare di carne canina e felina, sia da parte dell’uomo che altrimenti. Anche a Macao, la legge sulla protezione degli animali del 2016 prevede, per chi uccide gli animali, tra cui cani e gatti, illegalmente ( incluso per finalità alimentari), l’irrogazione di una sanzione pecuniaria nonché della reclusione fino a tre anni. A Taiwan, la legge sulla tutela degli animali del 1998 è stata emendata nel 2017 per porre ( inter alia) il divieto del consumo alimentare della carne di cani e di gatti, nonché dei prodotti alimentari che comunque contengano tali elementi.
Qualche segnale, peraltro, si è recentemente registrato, a livello locale, anche nella Cina continentale. La città di Shenzhen, nella Provincia di Guangdong, ha introdotto il divieto, vigente dal 1° maggio 2020, di cibarsi della carne di cani e gatti. A sua volta, la città di Zhuhai, che si trova nella Provincia appena menzionata, ha seguito l’esempio di Shenzhen, stabilendo analoga proibizione, in vigore dalla medesima data.
A livello nazionale, la Repubblica Popolare Cinese potrebbe dunque muoversi nella stessa direzione, con diverse modalità. È ipotizzabile, infatti, l’emanazione di una normativa ad hoc, oppure l’inserimento di apposite previsioni nella legge nazionale sulla prevenzione e il trattamento delle malattie infettive del 2013, oppure nella legge cinese sulla prevenzione delle malattie animali del 2015. Se, poi, consuetudini etnico-“culturali” locali appaiono tuttora radicate, per esempio a Yulin nella Regione Autonoma di Guangxi ( dove ha avuto luogo anche quest’anno, dal 21 al 30 giugno, lo “Yulin Dog Meat Festival”) e a Xuzhou nella Provincia di Jiangsu, si potrebbe forse pensare a disposizioni speciali ( magari di natura transitoria).
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