Educare innanzitutto. Compito della scuola ma anche degli avvocati. Lo dimostra l’accordo siglato mercoledì dalla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina con la presidente facente funzioni del Cnf Maria Masi, grazie al quale sarà proprio la professione forense a portare nelle scuole l’educazione alla legalità e ai diritti ( e di cui si dà conto in altro servizio del giornale, ndr).

Educare dovrebbe essere anche la risposta contro le discriminazioni omofobe, l’unica davvero efficace, secondo una parte non piccola della professione forense. Ad esempio, secondo il Comitato Pari opportunità dell’Ordine di Palermo, che ieri ha diffuso un comunicato in replica ad altri 87 Cpo uniti, il giorno prima, nell’esprimere con una nota congiunta il loro favore alla legge sull’omofobia, in discussione alla Camera: «Si rischia di introdurre un reato di opinione con sanzioni penali gravissime, demandando così al giudice penale e alla eventuale sanzione irrogata il compito che invece le nostre istituzioni dovrebbero assolvere mediante adeguata istruzione ed educazione, anche e sopratutto con la collaborazione dei Cpo territoriali», si legge nel documento del Foro palermitano. Rilievo che segnala un dissenso da parte del Comitato di Palermo rispetto ai colleghi fiduciosi nella provvidenziale, a loro giudizio, severità delle sanzioni. Ma non si tratta solo di una dialettica interna al mondo forense. Il tema in realtà è quello del «principio di determinatezza della fattispecie criminosa», pure richiamato dal Comitato Pari opportnità di Palermo e che potrebbe non essere garantito dal provvedimento tuttora all’esame della commissione Giustizia di Montecitorio.

E qui si squarcia il velo su un dibattito interno al mondo forense che non è possibile riassumere nelle prese di posizione ufficiali. Perché si è sviluppato anche sui social, soprattutto dopo la nota congiunta degli 87 Cpo favorevoli alla legge, riportato ieri da questo giornale. Non solo, perché proprio il risalto che il Dubbio ha dato alla posizione di quei Comitati, ha spinto altri singoli avvocati a scrivere al Cnf o direttamente a questo giornale. Con argomentazioni significative, e spesso convergenti con quel timore sulla scarsa tassatività della fattispecie di discriminazione connessa all’orientamento sessuale. In particolare, come ha scritto per esempio l’avvocato Lorenzo Marzona al Cnf, in virtù della «tristemente nota “interpretazione creativa” purtroppo così cara a buona parte della magistratura italiana». E qui la discussione si incrocia chiaramente anche con la teoria, cara per esempio alle componenti progressiste dell’associazionisno giudiziario, del «modello costituzionale di giudice», che avrebbe il compito di far vivere la Carta anche quando la legge ordinaria non ne proietta i principi. La pensano così altri avvocati intervenuti ieri sia sui gruppi facebook come “Politica forense” che con mail indirizzate al Cnf ( citiamo, per la qualità delle argomentazioni, Arturo Viviani di Siena e Aldo Sam di Pordenone). Ma forse un riflesso di queste considerazioni dev’essersi riverberato anche sui lavori parlamentari, visto che ieri il relatore della legge sull’omofobia, Alessandero Zan del Pd, ha fatto proprio un emendamento di Forza Italia con cui la «libertà di opinione, garantita dall’articolo 21 della Costituzione, può diventare reato solo se istiga all’odio e alla violenza». La precisazione non è bastata a ottenere il sostegno al ddl da parte degli azzurri, che si limitano a lasciare libertà di coscienza. Segno di quanto sia lacerante la tensione fra il diritto alla dignità e quello alla libertà d’opinione. All’interno delle assemblee parlamentari, dei singoli partiti e anche dell’avvocatura.