«Quando vedo il Movimento capace di sfatare alcuni tabù importanti, come accaduto su Autostrade, mi chiedo cosa vedano quelli che parlano di subalternità del Pd». Walter Verini, deputato dem e responsabile Giustizia del partito, non ne può più della narrazione renziana che descrive un Pd totalmente appiattito sul M5S.

Onorevole, dopo tanta fatica, si è corso il rischio che l'accordo in Liguria saltasse all'ultimo momento per un veto di Di Maio su Ferruccio Sansa. Cosa sta succedendo?

Vito Crimi ha smentito le indiscrezioni giornalistiche dunque i veti non esistono. Sarebbe stato un grave errore stoppare la candidatura di Ferruccio Sansa, su cui c'è stata una convergenza importante. Sansa è una persona di grande valore e già sette mesi fa, appena iniziò a circolare il suo nome, lo chiamai per incoraggiarlo ad andare avanti. Per fortuna ce l'abbiamo fatta: in Liguria è nato un fronte competitivo per sfidare Giovanni Toti. E confido che altre forze, al momento distanti, nelle prossime settimane trovino il modo di convergere sul programma.

Le altre forze di cui parla rispondono al nome di Italia Viva. Ma Matteo Renzi è stato chiaro: anche in Liguria il Pd si è mostrato subalterno ai 5 stelle. Avete optato per un candidato grillino?

Poco fa abbiamo parlato delle possibili perplessità di Di Maio su Ferruccio Sansa. Questo la dice lunga su quanto siano fondate le critiche di Renzi al Pd. Delle due l'una: o è una candidatura schiacciata sui 5 Stelle, come sostiene Italia Viva, o è una candidatura di sintesi, tanto che lo stesso ministro degli Esteri non ne sarebbe stato entusiasta. Quelle di Renzi sono critiche politiciste.

Però è oggettivo che Sansa sia stato inizialmente proposto dal M5S...

In realtà non è andata esattamente così. Subito dopo l'indicazione di Sansa, il M5S ha espresso più di una perplessità su questa candidatura, provocando vari stop and go nel processo di costruzione della coalizione. È stato un percorso lungo, come è normale che sia, ma io guardo all'essenziale: Sansa è molto radicato e stimato in Liguria e rappresenta la sintesi perfetta tra le varie anime della coalizione, senza connotazioni partitiche.

Quindi non ci sono da temere sorprese dell'ultimo minuto?

L'alleanza di governo è nata in una fase storica particolare e bisogna coltivarla col dialogo ogni giorno per rafforzarla, ma non credo ci saranno problemi. Certo, se per caso ci fosse qualche inciampo, sarebbe un segnale negativo non solo per la Liguria ma a livello generale.

Senza subalternità, dunque?

Ma francamente, di costa stiamo parlando? Il Pd oggi ha un ruolo centrale e contribuisce in maniera responsabile a tenere in piedi un Paese in difficoltà. E quando vedo il Movimento capace di sfatare alcuni tabù importanti, come accaduto su Autostrade, mi chiedo cosa vedano quelli che parlano di subalternità del Pd. Cito quattro nomi: Paolo Gentiloni, David Sassoli, Roberto Gualtieri e Enzo Amendola, esponenti del mio partito che stanno ottenendo, insieme a Conte, importanti risultati in Europa. A proposito, ricordate l'atteggiamento del M5S nei confronti di Bruxelles fino a un anno fa? Bene, oggi sembra un altro partito, ma qualcuno continua a vedere la nostra subalternità.

Quanto pesa nel confronto con i vostri alleati l'assenza di un leader forte nel M5S?

Pesano le fibrillazioni interne a un Movimento che, non scordiamolo, continua a esprimere il 30 per cento dei parlamentari. L'auspicio è che riescano a trovare presto una sintesi, non tanto e solo per preservare l'alleanza col Pd, quanto per il bene del Paese, visto che ci aspettano delle sfide enormi nei prossimi mesi. Ad oggi, per fortuna, quel lavoro di mediazione e di esercizio della leadership viene svolto egregiamente dal presidente del Consiglio, che spesso supplisce alle difficoltà dei partiti.

A proposito di Conte, sulla complicatissima partita Autostrade è riuscito a trovare un compromesso che non scontenta nessuno: dal M5S a Italia Viva. Se l'aspettava questa abilità politica?

Conte ha confermato capacità di sintesi. La differenza fondamentale tra l'attuale governo e quello precedente è che qui non c'è un contratto su cui “vigilare “ ma un programma politico da interpretare e costruire. E serve tanta fatica per tenere insieme una coalizione di questo tipo. Uno sforzo che io, contrariamente a quelli dei pop corn, avrei già provato a fare nel 2018.

Conte riuscirà a fare un altro “miracolo” sull'altro tema che preoccupa la maggioranza, il Mes?

Già questo dibattito ha fatto molti passi in avanti rispetto a un anno fa. Merito di Conte e della presenza del Pd al governo. Io considero il Mes un'opportunità, ma dividersi in questi giorni su questo tema non avrebbe senso. Ne riparleremo laicamente quando avremo tutti gli elementi per entrare nel merito della discussione. L'importante è non affezionarsi alle bandierine identitarie.

In caso di problemi in maggioranza potrebbe tornare utile il soccorso azzurro di Forza Italia?

L'idea che tutto si debba risolvere con rimpasti, marmellate varie e unità nazionali non funziona, è roba da ceto politico. Dobbiamo rafforzare il governo, confrontandoci sulle sfide per gli italiani. Il Pd di Zingaretti ha un obiettivo principale: mettere il Paese al centro di tutto. C'è senz'altro bisogno di creare un nuovo clima con le opposizioni, ma senza confusioni di ruoli. Se FI lascia i sovranisti al loro antieuropeismo e aiuta a far prevalere sensibilità europeiste è molto positivo, ma questo non significa né riscrivere la storia degli ultimi 26 anni, né immaginare maggioranze diverse. L'Italia ha davanti una grande sfida: saper usare le importanti risorse che verrano dall'Europa. Abbiamo bisogno di grandi cambiamenti: semplificazione, legalità, investimenti, imprese, economia verde, scuola e ricerca, sanità, lotta alle diseguaglianze. Queste sono le priorità del Pd.

Per quanto tempo ancora sarà il Pd di Zingaretti, come dice lei? Un'eventuale sconfitta alle Regionali metterebbe in discussione la leadership del segretario?

Non credo, è comunque un voto regionale ed è sbagliato dare valenza politica generale a qualsiasi appuntamento elettorale.

Non sarebbe il primo leader a fare un passo indietro dopo un fallimento alle regionali...

Certo, ricordo perfettamente le dimissioni di Veltroni dopo la sconfitta in Sardegna. Ma in quel caso le Regionali furono solo la goccia finale, c'era un correntismo esasperato che rendeva il partito difficile da governare. Anche D'Alema fece un passo indietro, ma il suo errore fu politicizzare un voto locale. Zingaretti sta lavorando bene, se c'è da muovere qualche critica all'azione di governo non si tira indietro, ma sempre in maniera leale. Se posso dargli un consiglio non richiesto per rafforzare ulteriormente la sua leadership è: apriamo di più il partito al mondo esterno.

È passato un anno dalla nascita del nuovo governo, ma i decreti sicurezza stanno ancora lì. Troppe resistenze da parte del M5S?

Li cambieremo presto. Anche su questo dimostreremo coi fatti che non esiste alcuna subalternità. È già pronto un accordo di maggioranza, torneranno gli Sprar e saranno rimosse le maxi multe alle Ong. Quella vergogna sarà cancellata.

Il Partito democratico si è spaccato sul rinnovo degli accordi con la Libia. Per Orfini, finanziare la Guardia costiera libica significa «finanziare chi uccide, chi stupra, chi tortura»...

Chi ha votato come me per il rinnovo delle missioni, in base alle indicazioni del gruppo, non lo ha fatto a cuor leggero. L'impegno resta quello inderogabile di modificare il Memorandum, ma la partita è molto complessa e purtroppo serve realismo: se abbandonassimo quel teatro sarebbe un disastro sia per i nostri interessi geopolitici che per il destino di chi prova ad attraversare disperatamente il Mediterraneo.