C’è persino qualcosa che ispira tenerezza nelle ultime posizioni del Partito democratico sul Mes, palesemente insoddisfatto di come vanno le cose e altrettanto palesemente incapace di influire sulla situazione. Non si tratta di mosceria individuale di Nicola Zingaretti o di un gruppo dirigente ancora fragile, peraltro ora messo in discussione da personaggi influenti come Giorgio Gori, Dario Nardella e più sottilmente Stefano Bonaccini. Il problema è in se stesso. Ed è dato dalla illusione di potere “far crescere” un partito costituzionalmente acerbo e istintivamente antieuroepo come il Movimento 5 Stelle, come se se si avesse in tasca la “maieutica” di Socrate in grado di tirar fuori dall’altro il meglio di sé. Non sta andando così, e si vede.

Zingaretti ci prova tutti i giorni a implorare il partito di Vito Crimi a venire a consigli più miti, illustrando per filo e per segno le virtù del Mes, i cui 37 miliardi sono lì a disposizione per rafforzare alla grande, con ' risorse mai viste', un sistema sanitario che ha assolutamente necessità di essere riformato, oltre ad essere ( il Zingaretti presidente della Regione Lazio lo sa benissimo) un possibile fattore di sviluppo e occupazione.

Ebbene, Crimi lo ha mandato garbatamente a quel paese. Una riunione del vertice pentastellato a Palazzo Chigi finita dopo oltre tre ore nella serata di martedì ha ribadito il concetto. E ormai una partita a poker, nella quale chi ha tutto da perdere è il M5s: se insiste sul no al Mes rischia persino di far cadere il “suo” governo; se dice sì, si gioca una parte di parlamentari, già in viaggio con destinazione Lega o pronti a seguire un Di Battista enigmatico ma non fermo.

Qualcosa però si muove, almeno a stare al senatore Primo Di Nicola che a Repubblica ha detto chiaro e tondo: «Basta con i no ideologici al Mes». E lo stesso Luigi Di Maio non sta alzando le barricate “nascondendosi” dietro l’antica attitudine andreottiana di rinviare ormai fatta propria da Giuseppe Conte, che punta a spostare ogni decisione a settembre. Intanto i fondi del Mes giacciono da qualche parte e nessun rilancio della sanità è in vista. Al posto di Roberto Speranza, un altro ministro della Salute avrebbe minacciato le dimissioni.

Ma la domanda resta la stessa da giorni: di quali armi dispone, il Pd, per imporre ai grillini il sì al Mes? Il Nazareno si culla nella speranza che alla fine Crimi e Di Maio cederanno magari per paura che il governo possa fibrillare al punto di non reggere. Ma allora perché non metterla subito giù dura: o Mes o crisi? L'unica cosa che infatti terrorizza il formicaio impazzito dei parlamentari grillini - nonché dei ministri - è lo spauracchio di una crisi dagli esiti imprevedibili. Ed ecco perché almeno una bella porzione del M5s potrebbe disubbidire al poco carismatico Crimi e costruire anche grazie a Forza Italia una nuova maggioranza che dica sì ai 37 miliardi per la sanità a interessi vicini allo zero.

Si tratta di alchimie parlamentari, certo. In attesa che nel Pd si torni a parlare di politica, di prospettiva, di ' linea', come si diceva una volta: giacché quella della alleanza strategica con i grillini, teorizzata da Franceschini e Bettini e un pochino subita dal segretario, sta facendo una brutta fine.