È costata una quasi crisi di governo, ma la norma che regolarizza braccianti, colf e badanti ha unito Pd e Italia Viva nel raggiungimento dell’obiettivo.

I grillini, invece, sono finiti all’angolo «perché non hanno risolto il nodo della propria identità e cultura di governo», ragiona il dem Gianni Cuperlo, che ha definito questo «un passo di pura civiltà, che va a sanare uno sfruttamento intollerabile».

La norma dunque è una vittoria?

È una norma che toglierà dalla clandestinità migliaia di donne e uomini sino a oggi sfruttati in condizioni di pseudo schiavitù o impiegati in occupazioni senza alcuna forma di riconoscimento e tutela. In questo senso è un passo di pura civiltà che va a sanare una rimozione collettiva e uno sfruttamento di corpi e persone semplicemente intollerabile. Parliamo di chi ha consentito in queste settimane di portare frutta e verdura sulle nostre tavole, di chi ha continuato ad assistere migliaia di anziani. Parliamo di un pezzo di paese che avrebbe meritato da tempo di essere visto e considerato per la sua funzione e non calpestato nella sua dignità. Non so quante volte in questi giorni ho sentito evocare la frase di Max Frisch “cercavamo braccia, sono arrivati uomini”. Era la metà degli anni Sessanta, con mezzo secolo di ritardo quella lezione dovrebbe comprenderla chi si ostina a osservare la realtà con occhi bendati.

A quali valori risponde?

Ripeto, al valore primario della nostra civiltà che è il rispetto dei diritti umani. Quei diritti che Stefano Rodotà ci ha insegnato a valutare indivisibili superando un riflesso antico, presente anche a sinistra, per cui prima venivano i diritti sociali e poi, una volta acquisiti questi, ci si poteva dedicare a quelli civili. La sfera dei diritti umani li riassume nella loro unitarietà e la parabola dei migranti col tempo si è fatta simbolo di questa frontiera. Stiamo parlando di persone occupate nei campi per dieci o dodici ore al giorno e pagate meno di quattro euro l’ora, la metà di quanto prevede il contratto. Finito quel turno massacrante si rifugiano in ghetti di lamiera privi di qualunque norma igienico sanitaria, un deposito di contagi potenziali oltre che uno sfregio alla democrazia. Quanto a colf e badanti si chiede loro l’eroismo della miseria, devono farsi carico della cura di chi non può più vivere senza un’assistenza continua mentre a loro si nega pure il diritto a una ricetta medica per sé. Di questo stiamo parlando, non solo di una battaglia di principio ma della vita di donne e uomini in carne, ossa e sentimenti.

È servita la minaccia di dimissioni della ministra Bellanova per ottenere il risultato?

Il suo impegno è fuori discussione. Credo sia servita la pressione congiunta di quanti hanno voluto sino all’ultimo strappare un risultato. Lo hanno fatto le ministre Bellanova e Lamorgese, in prima fila il ministro Provenzano e mi lasci citare Matteo Mauri, il vice ministro dell’Interno, che non è un volto televisivo, non frequenta i talk, ma senza di lui molto probabilmente staremmo qui a commentare una storia diversa.

Lei ha definito i termini della regolarizzazione “il miglior risultato possibile nelle condizioni date”. A quali condizioni si riferisce? A quelle politiche di tenuta della maggioranza?

Mi riferisco al fatto che sarebbe stato saggio procedere a una regolarizzazione di tutti gli immigrati oggi privi di un permesso di soggiorno e che si trovano sul nostro territorio come chiesto tra gli altri da Aboubakar Soumahoro. Uso l’argomento della sicurezza sanitaria per ciascuno di loro e per la popolazione tutta. Siamo nel cuore di una pandemia che non si risolverà a breve. In questa condizione la ragione sanitaria avrebbe dovuto precedere ogni altra valutazione. Perché va benissimo rispettare le regole del distanziamento sociale o misurare i metri tra un ombrellone e l’altro, ma come si concilia il tutto col fatto che alcune decine di migliaia di irregolari, forse più, restano “invisibili” a ogni forma di protezione e controllo? Mi pare un esempio di come il velo dell’ideologia può offuscare la lucidità del giudizio. Detto ciò è evidente che non esistevano le condizioni politiche e numeriche per ottenere quel risultato, ma dirlo a me pare comunque un atto di onestà.

Lei ha capito le ragioni dell’opposizione dei 5 Stelle?

Credo in parte perché non hanno risolto il nodo della propria identità e cultura di governo. Dopo aver plaudito ai decreti Salvini, una loro parte temeva di sacrificare altre quote di consenso alla destra. O forse perché una parte del vertice attuale condivide proprio quei valori che prima dell’esperienza giallorossa avevano battezzato l’incubo gialloverde. Penso abbia pesato una miscela di questi fattori, il che spiegherebbe i doppi passi, gli accordi stretti e rimangiati.

Si torna al tema della distanza di visione del mondo tra universo del centrosinistra e mondo grillino?

Guardi, io ho sempre avuto rispetto di un movimento sorto dal nulla e che due anni fa ha raccolto il 32 per cento alle elezioni. Le dico di più, alcune loro battaglie si sono rivelate giuste al di là dei difetti di impostazione perché certo che confondere il reddito di cittadinanza con le politiche attive del lavoro ci ha regalato i Navigator e creato molta confusione, resta però che quel reddito ha attutito l’impatto sociale della pandemia ed è giusto riconoscerlo. Adesso quel movimento è a un bivio, come accade a ogni forza che si misuri col governo deve decidere sulla sua natura. Se crede nel progetto di ricostruzione del Paese sulla base di valori e un impianto condiviso dalla sinistra o se vuole inseguire scenari illusori con un piede in Europa e uno fuori, uno sguardo ai diritti e uno a Salvini. Noi lavoriamo per la prima ipotesi e abbiamo mostrato nei fatti che siamo l’anima più affidabile di questa maggioranza. Mi auguro che anche gli altri lo comprendano perché il tempo a disposizione non è infinito.