Ci saranno, sicuramente, lezioni anche più importanti da trarre dalla recente tornata elettorale in Calabria e in Emilia Romagna. Quel che qui, in poche battute, vorrei mettere in evidenza è che paiono esserne usciti sconfitti, più o meno, e comunque ridimensionati, tutti quelli che negli ultimi anni hanno fatto di un linguaggio greve e volgare la propria cifra politica distintiva. Quelli del vaffa, quelli della rottamazione degli uomini anziché delle macchine, quelli che volevano andare a comandare con la ruspa in autostrada. Hanno vinto, invece, coloro che si sono presentati in versione “forza tranquilla”, per citare un famoso slogan di mitterandiana memoria.

Perché ne parlo qui, oggi? Perché voglio sperare che questa modestissima riflessione possa esser fatta propria anche da quanti hanno responsabilità nel governo della mia città, Massa e anche al di là di questa periferica landa della Toscana. In particolare spero mi legga quel giovane consigliere della Lega che nei giorni scorsi è balzato agli onori ( o disonori) delle cronache per aver definito il Presidente Sandro Pertini un assassino e un brigatista rosso. Mostrando evidenti lacune sia sul piano della cultura politica che della storia contemporanea. Del resto, da troppo tempo, e senza voler generalizzare, si nota una maniera un tantino disinvolta ( eufemismo) nel portare avanti le proprie funzioni e responsabilità istituzionali. Che si parli del regolamento di un consiglio comunale o del mandato parlamentare, della giustizia o del drammatico tema delle migrazioni, di politica di sicurezza o di relazioni internazionali.

Non è soltanto questione d’ignoranza crassa, nel senso letterale di non conoscenza dei fatti, ma della scorciatoia linguistica ( la parolaccia), simbolica ( il dito medio alzato) per non parlare della propagaazione infinita di fake news.

Scorciatoia che molti hanno intrapreso e intraprendono nella speranza di un sempre più vasto e rapido consenso. A proposito: parlateci di Bibbiano. Oppure suonateci direttamente al citofono. Oppure scrivete sui nostri portoni che siamo gay, zingari, comunisti, ebrei, antifascisti, malati di aids oppure semplicemente iscritti a un sindacato. Da questo punto di vista, c’è da riconoscere che il movimento delle Sardine - che potrebbe aver anche esaurito la propria missione - ha davvero offerto un modo nuovo di proporsi. Non più espressioni becere e volgari, ma un ragionamento pacato ( condivisibile o meno che sia) accompagnato da migliaia di volti giovani e sorridenti.

Così, e chiudo, in questi giorni dedicati ai pensieri e alla memoria come patrimonio condiviso, mi son tornati alla mente le decine di donne e uomini che ho incrociato nel mio personalissimo percorso politico ed istituzionale. Amici, compagni di strada e d’avventura o anche esponenti di parti avverse con i quali, pur nell’asprezza del confronto e dello scontro, mai si scendeva al livello delle offese personali. E parlo di anni che pur hanno conosciuto tanto la barbarie neofascista ( Piazza Fontana, Brescia, Bologna, Italicus…) che la follia del terrorismo rosso ( Aldo Moro e la sua scorta, Guido Rossa, Tobagi, Bachelet, fino a D’Antona e Biagi). Ecco sì, lo so, farò la figura del vecchio nostalgico, ma se almeno si ritrovasse un aplomb, un tono, una lingua comune, una sorta di inglese ( ancorché maccheronico) o di esperanto istituzionale, non avremmo sicuramente risolto i problemi del Paese, ma potrebbe esser più facile la ricerca delle soluzioni.

Soprattutto in materia di riforme che necessariamente devono esser condivise. Da quelle costituzionali ( è alla viste un referendum sul taglio dei parlamentari che peserà non poco sulla democraticità del sistema), al sistema di garanzie nel processo penale, la questione della velocità nella giustizia civile, la riforma elettorale e la tutela delle minoranze e dei diritti di tutti cittadini. Questo è, anche se vi pare poco.