C’è un bambino, nell’inchiesta “Angeli e Demoni” sugli affidi in Val d’Enza, tirato in ballo per costruire una polemica tra la Procura di Reggio Emilia e il Tribunale dei minori di Bologna. Una diatriba fabbricata sui giornali, assieme al “sistema Bibbiano”, poche settimane dopo l’esecuzione delle misure cautelari e che ha contribuito a creare la fake news dei rapimenti. Il caso è quello del piccolo Giulio (nome di fantasia), segnalato per una presunta violenza assistita che ha messo in moto la macchina della giustizia minorile. Un sospetto comunicato dalla scuola al Tribunale, che ha così allontanato per sette mesi il bambino dal padre - che poteva vederlo in modalità protetta -, lasciandolo assieme alla madre per tutto il periodo degli accertamenti. Mai, dunque, è stato separato dai genitori. E nemmeno è stato “restituito” alla propria famiglia dopo l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare, intervenuta quando l’iter si era già concluso. Ma non solo, nell’ordinanza manca un passaggio, forse quello fondamentale: ovvero le ammissioni fatte dal padre davanti al Tribunale dei minori. Tutto comincia ad ottobre del 2018, quando il Tribunale dei minori decide di collocare il bambino, assieme alla madre, in una struttura protetta, con la possibilità di vedere il padre in modalità controllata. In mano ai magistrati che lavorano al caso ci sono le segnalazioni delle insegnanti del piccolo, allarmate da un disegno che, stando a quanto affermato dallo stesso bambino, si riferisce ad un momento di violenza del padre sulla madre. Un bambino descritto dalle stesse insegnanti come molto triste, malnutrito e con denti cariati fino alle gengive. Da qui l’accertamento presso la procura di Reggio Emilia circa i precedenti penali dell’uomo. La comunicazione tra i due uffici risiede in questo passaggio: è in quel momento che il pm Valentina Salvi, titolare dell’indagine “Angeli e Demoni”, invia a Bologna la nota che certifica che il padre del bambino non ha precedenti per violenza in famiglia. Una nota che, dunque, non aggiungerebbe nulla sulle indagine a carico degli assistenti sociali.Sull’uomo, in mano alla procura di Reggio Emilia, come accerta la stessa ordinanza, ci sono solo alcuni precedenti datati nel tempo per guida in stato di ebbrezza. E più volte, nel ripercorrere la storia del bambino, il gip afferma che «non è possibile certamente escludere, alla stregua degli atti, che effettivamente il bambino abbia assistito ad un’aggressione violenta ad opera del padre in danno della madre». Ma il dato principale è che a muovere il Tribunale dei minori non sono le relazioni - giudicate, almeno in parte, «difformi dal vero» - dei servizi sociali. Alla base del provvedimento, infatti, c’è l’istruttoria effettuata dai magistrati minorili, davanti ai quali il padre del bambino ammette di essere stato segnalato più volte per rissa, al punto da sottoporsi volontariamente ad un percorso di recupero presso un centro per uomini maltrattanti. Una ammissione pacifica, dunque, del problema che ne giustifica l’allontanamento. Ma non solo: l’uomo ammette anche l’abuso di alcol e le liti con la moglie davanti al piccolo, deprecando il proprio stesso comportamento e promettendo di redimersi. E in effetti ce la fa: il percorso di recupero dell’uomo si conclude dopo qualche mese, a maggio, consentendo, dunque, il rientro della famiglia a casa. Riunita, dunque, un mese e mezzo prima del blitz che ha sconvolto l’Emilia Romagna e il mondo degli affidi. Nessun rapimento e, soprattutto, nessuna complicità nei reati contestati a servizi sociali da parte del Tribunale di Bologna. Che però ha pagato per tutti: con la mancata promozione del presidente Giuseppe Spadaro alla procura minorile di Roma e con il procedimento disciplinare a carico del pm Simone Purgato. “Colpevole” di aver reagito con troppa foga all’accusa di aver ignorato la comunicazione arrivata da Reggio Emilia.