Salvini contro Conte atto II. Quello che andrà in scena lunedì, col presidente del Consiglio chiamato a riferire a Montecitorio sulla riforma del Mes, si annuncia infatti come il secondo round di un incontro iniziato il 20 agosto scorso, quando il premier anticipa le mosse della Lega e rassegna le proprie dimissioni per impedire all’alleato di sfiduciarlo in Aula. Da quel gesto, inaspettato per il Carroccio, nasce poche settimane dopo una nuova maggioranza e un nuovo Conte, finalmente capo del governo e non più semplice garante di un contratto elaborato e controfirmato da altri.

Uno shock per Salvini, che da allora ha inserito l’avvocato del popolo in cima alla lista degli avversari da combattere. «Se Conte ha firmato (la riforma del Mes, ndr) senza comunicarlo al Parlamento e al popolo ne pagherà le conseguenze», ripete ogni giorno, con toni sempre più duri, il segretario della Lega, in attesa di vedere il premier sul “banco degli imputati” lunedì prossimo. «Conte dovrà spiegare non a Salvini - e se vorrà querelarmi ora lo aspetto - ma agli italiani. C’è un trattato in ballo che mette a rischio i loro risparmi e il loro lavoro per salvare le banche tedesche», rulla la grancassa leghista per caricare le truppe in attesa del “grande giorno”.

Lo scontro è ormai quasi di natura personale e supera i confini della polemica del giorno, la riforma del fondo salva Stati. Salvini si gioca al gatto col topo, convinto di potersi aggiudicare il secondo round, strizzando l’occhio a grillini insoddisfatti per isolare il presidente del Consiglio. Determinante, infatti, sarà in Aula l’atteggiamento del M5S, che già una volta - a fine luglio, in occasione dell’informativa sul “Russiagate” - ha abbandonato Conte al suo destino. E il rischio è che lunedì accada qualcosa di simile. Da tempo Di Maio vive con insofferenza il protagonismo del premier e negli ultimi giorni sembra essersi messo alla guida dei “ribelli” anti Pd, sposandone le istanze bellicose.

«Abbiamo sempre detto che il tema non è il fondo Mes in sé, ma se sia salva Stati o stritola Stati», dice il capo politico. «Ieri abbiamo avuto una riunione del gruppo parlamentare del M5s e siamo tutti d’accordo sul fatto che questo accordo vada migliorato, lo faremo col massimo dialogo», aggiunge, omettendo di ricordare che la riforma del Fondo procede dai tempi del precedente governo, quando lui sedeva accanto a Conte a Palazzo Chigi. «Nei prossimi giorni faremo presenti tutte le perplessità che abbiamo sull’impianto del Mes, ma senza voler creare difficoltà al governo», argomenta il ministro degli Esteri.

Il sospetto che il M5S si stia preparando a mettere più di un bastone tra le ruote al proprio premier resta comunque fondato. Almeno a giudicare dalle parole d’ordine lanciate su Facebook da un redivivo Alessandro Di Battista. «Se fossi un parlamentare non voterei il Mes perché reputo che solo chiamarlo Meccanismo salva Stati sia una balla colossale. Sono le mie idee, condivisibili o meno ma sono sempre le stesse», scrive il leader romano, tornato in piena sintonia col capo politico dopo una lunga fase di freddezze e incomprensioni. L’ex deputato parla come se il suo movimento fosse la maggiore forza d’opposizione e non il più grande azionista del governo in carica.

Di Battista rispolvera le “parole guerriere” contro la privatizzazione di Autostrade, contro i «giornaloni» alla Repubblica e contro l’ex Presidente della Commissione europea Barroso. Ma non solo. Nel mirino di Dibba finisce anche un alleato: Matteo Renzi. «Nel 2017, il governo Gentiloni, controllato di fatto da Renzi, che oltre a vari ministri piazza la Boschi come numero 2 a Palazzo Chigi, fa un bel favore al gruppo Toto: un abbuono di 121 milioni di euro per la concessione dell'autostrada dei parchi», ricostruisce il grillino viaggiatore. «È lecito pensare che il gruppo Toto abbia di fatto elargito centinaia di migliaia di euro alla fondazione renziana (passando attraverso la consulenza ad Alberto Bianchi) per poi vedersi restituito il favore dal governo Gentiloni? Magari è ancora legale questa roba (vedremo l'inchiesta), ma è vomitevole», chiosa il leader M5S, mettendo sul cammino di Conte altri ostacoli per inciampare.

E se non fosse sufficiente, Di Battista invita i parlamentari pentastellati all’azione. «Accelerate!», è l’esortazione. «Luigi lo sta facendo e lo sostengo per questo. L’elenco delle cose da fare è lungo secondo Dibba: conflitto di interessi, nazionalizzazione di autostrade, commissione di inchiesta sul finanziamento ai partiti, sul recupero dell'Imu non versato dagli istituti religiosi. «Vedrete che i renziani passati a Italia “Morta” o quelli lasciati a fare politicamente da “palo” nel Pd in Parlamento voteranno tutte le nostre proposte anche perché, se si dovesse andare ad elezioni adesso, non solo prenderebbero meno voti di Calenda ma molti di loro perderebbero l'immunità parlamentare e mai come ora credo ne abbiano bisogno...». A proteggere Conte, insomma, sembrano rimasti solo i vecchi avversari del Pd. Matteo Salvini può godersi la scena.