Il finanziamento pubblico alla politica non è un sostegno ai partiti ma alla «democrazia». Ne è convinto Luigi Zanda senatore e tesoriere del Pd, firmatario di un disegno di legge per la reintroduzione del finanziamento pubblico ai partiti attraverso l'istituzione di un fondo da 90 milioni di euro presso il ministero dell’Economia. Un progetto di riforma che gli è costato l'attacco frontale dell'allora vice premier del governo Conte1, Luigi Di Maio. «La vera natura del Pd è quella di difendere privilegi e perseguire interessi personali», furono le parole esatte utilizzate dal capo politico M5S, nel maggio scorso, per commentare la proposta dell'esponente dem.

Senatore, a parte gli eventuali risvolti giudiziari, ancora tutti da dimostrare, cosa ci racconta la vicenda Open sul rapporto tra politica e finanziamenti privati?

Sulla Fondazione Open so soltanto quel che ho letto sui giornali: frammenti di ordinanze della magistratura e frammenti di elenchi di finanziatori legittimi. Non conosco altro. Poi, Open non è mica l'unica fondazione che si occupa di politica in Italia, anzi, sono numerose e svolgono tutte le loro attività da parecchio tempo. I problemi eventuali, e sottolineo eventuali, possono ritrovarsi nel tipo di attività svolta, non nella natura della Fondazione.

Ma anche in presenza di finanziamenti legittimi, è sano che un portatore di interessi privati sovvenzioni la politica?

Tutto questo è in gran parte responsabilità della politica stessa, perché l'abolizione del finanziamento pubblico ha reso necessario trovare risorse private con cui finanziare l'attività delle formazioni politiche. Immagino che tutti i partiti trovino un modo legale e legittimo di sostentarsi. E tra i modi previsti dal nostro ordinamento ci sono le donazioni da parte di privati.

Non rischia di generare alcune disfunzioni un sistema così concepito?

Ci sono Paesi come gli Stati Uniti d'America dove la politica è finanziata totalmente dal mondo privato. Tutto ciò ha prodotto un aumento vertiginoso dei costi delle campagne elettorali americane e Presidenti, come Donald Trump, che debbono la loro elezione, in maniera rilevane, ai loro finanziatori. La riprova di questo modello istituzionale è data dal fatto che i Presidenti Usa sono soliti ricompensare chi li ha aiutati finanziariamente offrendo loro persino le responsabilità di ambasciate importanti in giro per il mondo.

La sovvenzione statale è l'unico modo per mettere al sicuro la politica dalle influenze private?

Non so se sia l'unico modo, ma penso che una forma ridotta e controllata di finanziamento pubblico, in una democrazia che voglia chiamarsi tale, sia necessaria e preferibile alla pioggia di denaro privato proveniente da portatori di interessi.

Eppure a cancellare il finanziamento pubblico, nel 2013, fu il suo partito. Perché il Pd si fece promotore di questa campagna?

Perché c'era un vento in Parlamento che soffiava in quella direzione. Era un vento molto violento e molto largo. Però nella politica, come nella vita di ciascuno di noi, si possono commettere errori che poi, in seguito, può diventare necessario correggere.

Quindi riproporrete il ddl Zanda per la reintroduzione del finanziamento pubblico?

Io sono molto convinto di quel disegno di legge. Prevede una forma di finanziamento sulla falsa riga dei rimborsi previsti dal Parlamento europeo per le forze politiche rappresentate nei gruppi parlamentari.

Il suo partito troverà il coraggio di sostenere una riforma impopolare di questo tipo, a costo di scontrarsi con il maggior alleato di governo?

Non sono mai stato un sostenitore delle forzature parlamentari e non lo sono nemmeno adesso. Anzi, soprattutto adesso, perché credo che il tema del finanziamento della democrazia, non dei partiti, sia insieme vitale e molto delicato. E prima di partire lancia in resta con certe battaglie, bisogna verificare se esiste un consenso largo in Parlamento.

Luigi Di Maio ha chiesto con urgenza l'istituzione di una Commissione d'inchiesta sul finanziamento ai partiti. Il Pd la sosterrà?

Quello che farà il mio partito in Aula lo deciderà il presidente del gruppo parlamentare. Personalmente sono contrario, perché non credo sia utile. Non è possibile che davanti a ogni nuovo problema qualcuno si alzi in Parlamento e chieda l'istituzione di una Commissione d'inchiesta. Poi, nel caso specifico, abbiamo a che fare con un'indagine giudiziaria appena iniziata, di cui soltanto stamattina abbiamo letto qualcosa sui giornali. Dovremmo lasciare lavorare in pace la magistratura. La democrazia è fatta di divisione di poteri e quello legislativo deve stare molto attento a non invadere il campo di quello giudiziario con iniziative intempestive d'inchiesta.