«Fratelli d’Italia chiederà anche l’istituzione di una commissione speciale alla Camera per far luce sulle ingerenze straniere e, segnatamente, quelle cinesi sul governo italiano». Gli incontri “top secret” tra Beppe Grillo e l'ambasciatore cinese a Roma, Li Junhua, non sono passati inosservati. Le opposizioni, a partire da Giorgia Meloni e Matteo Salvini pretendono chiarimenti sulla natura delle visite del comico genovese al diplomatico di Pechino.

Il “garante” del Movimento 5 Stelle, per ora, liquida tutto con una battuta - «gli ho portato del pesto», dice - ma difficilmente riuscirà a mettere a tacere le polemiche. A marzo l'Italia è diventata il primo Paese del G7 e il primo Paese fondatore dell'Ue a firmare il memorandum d'intesa con la Cina, un faraonico progetto infrastrutturale e commerciale, voluto sei anni fa dal presidente Xi Jinping per collegare il Dragone all'Europa e all'Asia.

E forse non è un caso che a sottoscrivere l'intesa sia stato Luigi Di Maio che, una volta giunto alla Farnesina, ha richiamato Ettore Sequi, ex ambasciatore italiano a Pechino, per “promuoverlo” capo di gabinetto del ministro degli Esteri. La famosa “Nuova via della seta”, di cui l'Italia rappresenta uno snodo cruciale, prevede accordi che vanno dal commercio all’energia, dalle infrastrutture alle telecomunicazioni, dal turismo ai porti, fino agli scambi culturali, per un totale di circa sette miliardi.

Fuori dal pacchetto rimane lo sviluppo della rete 5G, infrastruttura troppo delicata per la sicurezza di un Paese Nato, su cui il governo italiano ha esercitato il Golden Power, su “suggerimento” del Quirinale. Eppure, solo poche settimane fa la Huawei, colosso cinese della telefonia interessato allo sviluppo delle reti, ha aperto l'evento “Smart company”, organizzato a Milano dalla Casaleggio associati, per bocca dell'amministratore delegato della Hauwei Italia Thomas Miao.

Ma gli interessi cinesi sul nostro Paese restano comunque molteplici. E chiedersi cosa ci facesse Grillo dall'ambasciatore Li Junhua e a nome di chi parlasse è lecito. Anche perché il fondatore del Movimento negli anni ha cambiato parere sul governo di Pechino in modo radicale.

Se 10 anni fa invocava l'embargo per i prodotti della liberticida Cina, adesso “l'elevato” decanta i pilastri del «successo economico» del Dragone. Persino nel campo dei diritti umani, Grillo ha operato un'inversione a U. Nel luglio del 2009, sul Blog compariva un durissimo post contro la persecuzione degli uiguri, minoranza turcofona dello Xinjiang, nel Nord Ovest del Paese: «La Cina sta risolvendo in modo brillante il problema della sovrappopolazione.

Diecimila uiguri sono scomparsi in una notte», si può tuttora leggere in Rete.

«Che fine hanno fatto diecimila persone? Le ipotesi sono molte. Dal rapimento collettivo da parte degli alieni, a un’invasione di vampiri, a una gita nelle carceri cinesi, a uno sterminio di massa, stile Fosse di Katyn in Polonia nella seconda guerra mondiale. Nessuno lo sa», era l'allarme lanciato via Blog. Peccato che 10 anni dopo, sullo stesso argomento, il fondatore del Movimento ospiti sul suo sito un articolo, firmato da Fabio Massimo Parenti, professore di Politica economica internazionale alla China Foreign Affairs University, in cui sostanzialmente si liquida la “faccenda uiguri” come una sorta di fake news orchestrata per danneggiare l'immagine di Pechino.

«Lo Xinjiang, infatti, è coinvolto in una campagna mediatica sui diritti umani volta a screditare l’operato del governo cinese, accusato ripetutamente di violare i diritti umani della etnia musulmana uigura», scrive il professor Parenti sul Blog di Grillo, convinto che «nella campagna mediatica qui menzionata mancherebbero fonti credibili, dati verificabili ed equilibrio di giudizio». Invece, «si rinvengono manipolazioni, strumentalizzazioni per fini geopolitici ( discreditare il governo cinese per contenerne l’ascesa di legittimità), ingerenze e arbitrarietà di giudizio».

Insomma, il fondatore del Movimento ha cambiato idea, forse anche dando un'occhiata agli investimenti cinesi già presenti sul territorio italiano. Società di Pechino infatti controllano già colossi italiani: il 35 per cento di Cdp Reti, società che gestisce gli investimenti partecipativi in Snam, Italgas e Terna; e il 40 per cento di Ansaldo energie. Ma le aziende orientali possiedono anche quote importanti di imprese private come Pirelli ( il 45 per cento), il 100 per cento di Candy, il marchio di motori Benelli e persino case di moda come Krizia. Fino a società calcistiche come l'Inter.

Per non parlare dell’interesse sui porti italiani, come quello di Taranto, dove la gestione del terminal container di trasbordo dovrebbe essere affidata, in joint venture, alla multinazionale turca Yilport e al gruppo cinese China Cosco Shipping. Il Dragone ha puntato gli occhi anche su Genova, Trieste e Vado Ligure ( Savona), dove il 12 dicembre verrà inaugurato il nuovo terminal container grazie anche a fondi cinesi.

Insomma, Pechino ha in mano molti degli strategici italiani. Forse Grillo dovrebbe spiegare qualche dettaglio in più sui suoi incontri, che potrebbero riguardare molto più di un piatto di pasta al pesto.