Prossima fermata Roma. Riflettori puntati sulla Capitale, simbolo irrinunciabile per gli appetiti politici di ogni partito, e campo di battaglia privilegiato per i regolamenti di conti interni.

Matteo Salvini, che sabato punta a riempire piazza San Giovanni, ha un sogno nel cassetto: piantare la bandierina con Alberto da Giussano in Campidoglio. Per questo ormai non lascia passare un giorno senza invocare le dimissioni della sindaca Virginia Raggi, che darebbero il via alla nuova campagna elettorale permanente dell’ex ministro dell’Interno.

Nicola Zingaretti, dal canto suo, sa che da Roma passa il futuro dell’alleanza a Palazzo Chigi come quella nelle Regioni chiamate al voto ed evita di attaccare la prima cittadina per non infastidire Luigi Di Maio.

Il segretario del Pd è arrivato persino a chiedere le “non dimissioni” di Raggi, ottenendo un unico risultato: la rivolta di buona parte dei dem romani e non. E per tutta risposta il Pd cittadino ha deciso di ridare fiato alla mobilitazione perpetua contro la Giunta comunale, con tanto di gazebo sparsi in ogni angolo della città, a partire da oggi e per tutto il weekend.

«Dal dicembre 2018, in occasione delle primarie per l’elezione del segretario regionale, il partito Democratico di Roma ha avviato una mobilitazione permanente e una raccolta firme per chiedere le dimissioni di Virginia Raggi, la peggiore sindaca di sempre della nostra città», si legge in un comunicato diramato dal Pd romano.

«In questi mesi insieme ai circoli municipali abbiamo portato la battaglia per chiedere le dimissioni della Raggi in tutti i municipi di Roma con le iniziative “Dimissioni subito”», si legge sul sito dei dem capitolini, che poi lanciano la nuova campagna dal titolo poco equivocabile: “Raggi ora basta”. «Venerdì, sabato e domenica torneremo nelle strade e nelle piazze», annunciano, «insieme al gruppo capitolino, i presidenti dei municipi, i gruppi municipali e tutti i nostri militanti per denunciare i problemi e le emergenze della Capitale. Al fianco dei cittadini romani per confrontarci con loro sulle proposte per costruire l’alternativa».

Il messaggio è rivolto all’amministrazione 5Stelle ma è indirizzato al Nazareno. I democratici romani non sono disposti a mettere da parte le recriminazioni nei confronti di una Giunta ritenuta fallimentare solo per assecondare i piani di Zingaretti. Il segretario ne prende atto e prova a smorzare i toni ma sa che deve guardarsi le spalle. E non solo dai nemici interni. Perché per far saltare l’asse M5S- Pd la Lega ci mette del suo, mettendo nel mirino non solo il Campidoglio ma anche la Pisana, sede del Consiglio regionale laziale.

È qui che per la prima volta grillini e dem hanno sperimentato la strana formula del dialogo. Molto prima del Papeete e della giravolta di Matteo Renzi in Senato - che di fatto ha spalancato le porte al Conte due - Roberta Lombardi e Nicola Zingaretti avevano già cominciato a parlarsi in Regione. Uno presidente, l’altra leader dell’opposizione.

E Salvini sa che per prendere Roma bisogna partire dal Lazio, minando i già fragilissimi equilibri di maggioranza e giocando coi nervi tesissimi del Movimento 5 Stelle. La Lega, col sostegno di Fratelli d’Italia, annuncia una mozione di sfiducia contro il governatore per stanare i grillini e Roberta Lombardi deve accodarsi: «Non ci hanno fatto leggere nulla. Ma d’altronde non è una novità. In ogni caso, visto che la situazione è quella solita, ovvero noi in opposizione, voteremo compatti a favore della sfiducia».

La precisazione è d’obbligo, soprattutto perché per mandare a casa Zingaretti non ci sono i numeri, ma indispensabile. La “Faraona”, infatti, deve fare i conti con una piccola rivolta interna nei suoi confronti. A capitanarla, Davide Barillari, esponente pentastellato tanto ostile a ogni intesa col Pd ( anche a livello nazionale) da aver sottoscritto un documento che rimette in discussione tutta l’organizzazione politica del Movimento.

Il gruppo regionale è spaccato in due: 5 consiglieri con Lombardi e 5 con Barillari. Ed è proprio in questa contraddizione che vuole inserirsi Salvini per far saltare il tavolo. A far inceppare il suo piano però potrebbe essere un altro attore politico: Forza Italia.

Gli azzurri non hanno alcuna intenzione di farsi fagocitare ancora dalle fughe in avanti leghiste. E il consigliere berlusconiano Giuseppe Simeone smorza gli entusiasmi degli alleati: «Sfiducia a Zingaretti? Per adesso la leggo sui giornali. Al momento non ci sono stati incontri», dice l’esponente di Forza Italia. «Se si presenta la sfiducia senza il supporto dei numeri favorevoli si finisce con il produrre un effetto contrario a quello voluto. Di fatto si andrebbe a rafforzare la maggioranza», è il monito.

Forse è ancora presto per veder sventolare Alberto da Giussano sul Campidoglio. Almeno per ora.