Il dubbio serpeggia oscuro tra le fila dei dem ( e di Italia Viva): e se fosse stato commesso un errore, per di più irreversibile?

Il taglio dei parlamentari, approvato in quarta lettura alla Camera dopo tre voti contrari, agita i ranghi. Difficile spiegare il perchè di un cambio di linea tanto evidente se non con il fatto che, a quel sì, i 5 Stelle minacciavano di legare la tenuta del governo. Ancora più difficile, nascondere la sensazione di essersi segnati un clamoroso autogol.

A dare pubblicamente voce ai malumori e a lanciarsi in un fiume di autoanalisi è stato l’ex giovane turco, Matteo Orfini, sempre più apertamente in contrasto con la linea della segreteria dem. L’ex presidente del partito lo ha definito un passaggio «gestito malissimo» e non condiviso in direzione ( «Gentiloni e Zingaretti hanno scelto di non convocarla. Evidentemente la sbandierata volontà di collegialità e unità in alcuni passaggi viene dimenticata» ), ma soprattutto ha esplicitato ciò che molti sussurrano a mezza bocca: «Oggi abbiamo accettato di votare un provvedimento bandiera del M5s, nonostante lo avessimo sempre avversato. Qualche giorno fa abbiamo detto che non avremmo toccato i provvedimenti simbolo del governo Conte/ Salvini, cioè reddito di cittadinanza e quota 100». E allora, l’interrogativo è uno solo: «Qual è l'agenda del nostro partito? Perché per ora vedo solo quella dei nostri alleati».

Questa, del resto, è la preoccupazione vera: nella migliore delle ipotesi, questo sì costato così caro sarà ripagato da una riforma organica che riguardi sia la legge elettorale che la rimodulazione dei colleghi. Tradotto in pratica: una cambiale con molte condizioni e variabili che puzza di trappola. A sintetizzarlo con chiarezza ( e senza il peso di aver dovuto votare la riforma ob torto collo), l’eurodeputata dem, Irene Tinagli, che ha candidamente ammesso come «nessuno dei colleghi con cui ho parlato era convinto di questa riforma, e non parlo solo del Pd». E la regione è semplice: «Tutti sono consapevoli che è un cedimento a propaganda», ma «c’è stata la fretta del dare questo contentino all’elettorato del M5S».

A provare ad arginare il malcontento sono intervenuti a stretto giro sia il segretario Nicola Zingaretti che il capogruppo alla Camera Graziano Delrio, entrambi sulla stessa linea: nessuna giravolta cieca in nome dell’alleanza, ma «siccome abbiamo chiesto e ottenuto delle garanzie, diciamo oggi convintamente sì al taglio dei parlamentari. C’è stato un reale cambio di passo con questa maggioranza, non ci sono state svendite per la nascita del governo». Che, agli occhi di molti stizziti parlamentari costretti a votare una propria probabile non rielezione, suona come excusatio non petita, accusatio manifesta.

Se nel Pd il malumore è palpabile, in Italia Viva il malessere è lo stesso. Il primo a manifestarlo è stato il pirotecnico Roberto Giachetti: ha votato sì, ma già da oggi è al lavoro per raccogliere le firme per un referendum contro la riforma. «Voto sì perchè è dentro un accordo di programma di questo governo» ma scandisce: «il mio dovere di lealtà su questo tema finisce qui».

Meno diretto ma altrettanto poco convinto, invece, si è dimostrato Luigi Marattin, che accusa indirettamente i media di aver forzato la mano: «Oggi a lamentarsi del taglio dei parlamentari sono quasi tutti quei media che per decenni hanno alimentato l’odio contro chi fa politica. Quelli che pubblicavano foto di Aula vuota durante le discussioni generali. Ahi serva Italia».

Gli ex compagni di partito, dunque, tornando ad essere vicini, almeno emotivamente. E a rincarare la dose arriva il solito malandrino Carlo Calenda: avete trattato la Costituzione come un «regolamento di condominio, lo fate perché avete preso un impegno con Di Maio» e «in cambio che avete ottenuto? Niente». E conclude: «Quand’è che avete firmato quest’assegno in bianco? Quand’è che avete rinunciato combattere perché “sennò arriva Salvini”?».

Intanto, nel day after, si acuisce la vertigine di aver messo un piede in fallo. E qualcuno rilancia un aforisma di Churchill: «Potevamo scegliere tra il disonore e la guerra; abbiamo scelto il disonore e avremo la guerra».