Viene persino facile allineare Trump a Johnson: venti di boria che circonfondono il capello biondo, solidi curricula da gaffeur, uso compulsivo di tweet, una certa disinvoltura machista nei rapporti con le donne, sprezzo naturale per le minoranze e le opposizioni in genere e liasons effimere e caduche per i collaboratori.

A i due andrebbe accostato Salvini, la versione italiana del sovranismo di lotta e di governo, per assonanza sui temi migratori oltre che per una certa simpatia con le cose russe ( almeno per l’analoga propensione mostrata da Trump).

Cosa accomuna questi tre eroi del nostro tempo, oltre il rodomontismo delle apparizioni politiche e un certo compiacimento per l’ostentazione della loro fisicità nella prossemica oratoria?

L’attitudine alla grande cantonata. E, per dirla con una spruzzata di accademismo giuspubblicistico, la preterintenzionale tendenza a rivalutare, così, il ruolo dei parlamenti. Prendete Trump: il parlamento sta per discutere il suo impeachment che ha ad oggetto il suo rapporto presuntamente torbido con il presidente Ucraino Zelensky a cui si sarebbe rivolto per contrastare proditoriamente Joe Biden, sfidante democratico in pectore nelle presidenziali americane del prossimo anno.

Trump ostenta sicurezza sugli esiti del voto, considerando anche i precedenti storici, ma di certo non passa il suo momento migliore e, per adesso, sembra sovrastarlo nel consenso popolare Nancy Pelosi, la speaker democratica del Congresso, integerrima e implacabile. Johnson sta peggio: il suo gesto prevaricatore nei confronti del parlamento, ratificato dalla Queen, che tendeva a bloccarne i lavori per provocare un’uscita hard dall’UE, è stato bocciato dalla Suprema Corte del Regno Unito per incostituzionalità.

Il Parlamento inglese, che ha inventato il parlamentarismo nel mondo moderno, salva il suo onore e le sue prerogative. Il Primo Ministro no. Di Salvini s’e’ detto e anche assai. In questo ragionamento viene richiamato per l’inconsapevolezza con cui ha sfidato le regole del gioco costituzionale: pensava di andare al voto di lì a breve ma non considerava che siamo in regime di democrazia parlamentare, per cui se esiste una maggioranza nelle due Camere la legislatura va avanti.

Con il criterio che, ne’ più ne’ meno, ha ispirato il governo di cui è stato Ministro e vice- presidente, il criterio della coincidenza degli opposti, si è dunque varato il nuovo governo e Salvini non solo è consegnato ad una ( lunga ?) traversata nel deserto dell’opposizione, ma si è fatto protagonista di un caso di scuola nelle Università italiane. Sul ruolo del Parlamento nel Diritto Costituzionale. Senza dubbio i tre eroi sono collegabili col filo ideologico: stanno felicemente a destra e pure parecchio conservatrice.

Ma ciò che maggiormente colpisce è l’atteggiamento che tutti e tre hanno avuto nei confronti delle regole: si sono sentiti sopra alle leggi, anzi si sono autoassegnati il compito di imporne di nuove con comportamenti e gesti autocratici.

E i Parlamenti, acciaccati, mortificati, ridotti all’angolo, alla fine hanno reagito. In fondo è una storia esemplare su cui il politico contemporaneo farebbe bene a meditare.