Non c’è commentatore politico o persona di buon senso che non abbia rilevato anomalie e stravaganze nelle vicende che hanno portato alla crisi di governo. È opportuno dare un giudizio politico del nuovo esecutivo ma è necessario rispondere ad alcuni interrogativi che derivano dai comportamenti che tanti rappresentanti politici hanno avuto e che hanno suscitato dubbi notevoli. Il risultato delle elezioni del marzo 2018 aveva determinato un governo anomalo tra la Lega e i Cinquestelle con tanti interrogativi per un accordo di governo - sia pure attraverso la forma di un Contratto - tra partiti che si erano esercitati in uno scontro duro da anni.

Questo nuovo accordo tra Pd e Cinquestelle è egualmente anomalo dopo un bellicoso mese di agosto ancora tutto da decifrare. In particolare la coalizione è considerata scandalosa perché frutto di un trasformismo che, come ha detto giustamente su questo giornale Gennaro Malgieri, «non è riscontrabile neppure nella memoria di Depretis», da tutta la letteratura finora promosso come campione in quel campo. Malgieri osserva che «nel tempo delle parole senza idee è fin troppo facile mutare fronti politici con la coscienza leggera». Il trasformismo non è certamente fenomeno nuovo nella politica italiana, ma per il passato ha avuto un significato fortemente negativo. In verità anche negli anni della formazione dello Stato unitario ( Francesco De Sanctis ha scritto pagine importanti sull’argomento anche nel suo indimenticabile viaggio elettorale) e in tutto il ’ 900, il secolo della formazione dei partiti politici e della battaglia sui grandi ideali per le libertà da conquistare, il trasformismo è stata una piaga politica condannata dalla società alla stregua di un disvalore. La situazione attuale è profondamente diversa per ragioni complesse, per i profondi mutamenti avvenuti nella società ma in particolare da quando nel nostro Paese è stata cambiata la legge elettorale per il Parlamento, da proporzionale in maggioritaria o meglio in un misto tra i due meccanismi di voto. La legge sperimentata negli anni 90, in un periodo di progressiva crisi dei partiti, ha scatenato nella politica un personalismo che dura ahimè da quegli anni e che gradatamente ha eliminato contenuto e valori ai partiti organizzati del 900.

La personalizzazione oscura o elimina il significato profondo degli ideali e degli scopi che un’associazione politica deve portare avanti, e proprio per queste motivazioni il trasformismo acquista oggi un significato diverso.

Cambiare idea, programmi, e ideologie è tradire e mortificare la coscienza, ma in un periodo di così forte crisi dei valori, di crisi delle grandi ideologie, delle grandi “narrazione” che tenevano vive le tradizioni, nel quale le identità si sono scolorite e la classe dirigente è senza qualità, il significato dell’identità e dell’appartenenza si è affievolito a tal punto da far dire a Luigi Di Maio, da un pulpito particolarmente qualificato come il palazzo del Quirinale, che destra e sinistra non esistono più per poter giustificare appunto qualunque scelta. Di conseguenza oggi viene richiesta non lealtà o coerenza ma fedeltà alla persona, che prima o poi svanisce. In Parlamento da varie legislature assistiamo a passaggi da un gruppo all’altro in misura vistosa, perché nessuno ha una sua precisa peculiarità e appunto una identità: fenomeno negativo da combattere ma inevitabile se non ci si ritrova insieme su contenuti, valori e ideali.

Si tratta di un problema enorme per la democrazia ed è necessario esaminarlo e approfondirlo con una analisi realistica e cruda della società e dei suoi valori attuali che sono in profonda crisi per la disgregazione presente in tutte le società sviluppate.

Se vogliamo che la democrazia liberale sopravviva al populismo, dobbiamo ricordare le virtù della libertà e risvegliare i partiti, rinverdire la loro tradizione a seguire un programma ambizioso, capace di rinnovare la promessa della democrazia per un futuro migliore. A lume di queste riflessioni dobbiamo con serenità giudicare le cose di casa nostra e il risultato che abbiamo raggiunto con la soluzione della crisi di governo.

Da sempre lo scioglimento anticipato del Parlamento è stato considerato una sciagura perché in una democrazia rappresentativa è sintomo di grande malessere della politica. Il popolo non può sostituirsi continuamente alle responsabilità dei suoi rappresentanti: la continuità del Parlamento è una garanzia per la democrazia.

Bisogna dire la verità agli italiani che senz’altro la apprezzeranno: il capo della Lega ha sfiduciato sé stesso chiedendo al popolo in maniera generica pieni poteri e il Parlamento che avrebbe dovuto essere la vittima ha reagito: ha difeso le sue prerogative e ha difeso la democrazia.

Il sollecitatore della riscossa è stato Matteo Renzi che ha cambiato idea dalla sera alla mattina: questo per alcuni lo colloca al primo posto nella classifica dei trasformisti. Ma io in verità credo che il Senato avrebbe reagito ugualmente perché l’istinto di conservazione è sacrosanto, soprattutto quando si tratta di proteggere un’istituzione come il Parlamento. Al dunque si è evitato un male peggiore. La politica, quella concreta che deve decidere e deve assumersi responsabilità, non può attendere: deve fare una scelta tra la coerenza astratta e la realtà che deve gestire; è come un medico che deve dare la cura all’ammalato ( la società civile) che già versa in gravi condizioni.

Il Parlamento ha dunque reagito riscoprendo per un attimo il valore della “rappresentanza” e la sua importanza dopo gli avvenimenti, drammatici e comici al tempo stesso, del mese di agosto. Il governo M5S- Pd è una risposta di emergenza per difendere la democrazia e le regole istituzionali ed è stato fatto per questa unica ragione, sacrosanta: una sorta di comitato di salute pubblica per difendere la libertà che avrebbe dovuto avere la partecipazione di Forza Italia o la parte più intelligente di quel movimento il quale se “forza di centro” avrebbe dovuto prendere atto che il centro destra non esiste, non può esistere perché con il sovranismo non si fa politica in una società complessa, e non si governa come ha scritto in un lucido articolo l’on. Mara Carfagna.

Si tratta quindi di una scommessa virtuosa che mette in ombra il trasformismo. Ritengo che l’alleanza anomala tra Pd e Cinquestelle porti alla scomposizione dell’attuale assetto politico e alla possibile ricostituzione di soggetti politici capaci di superare tutte le incertezze e le patologie che abbiamo patito in questi anni.

Il Pd ha pur sempre una storia di partito e può guidare in qualche modo e assorbire il MoVimento che ha rappresentato la protesta, a volte anche giusta, che però non ha un blocco sociale di riferimento e deve essere aiutato ad uscire dalle difficoltà, aiutato a diventare un partito europeo che archivi Rousseau e la democrazia diretta perché contrari al buon senso oltre che le logiche istituzionali attuali.

D’altra parte se la nuova alleanza dovesse portare davvero, come leggo nel programma di governo, ad una legge elettorale proporzionale come quella della prima Repubblica si verificherebbe un piccolo capolavoro: si chiuderebbe una lunga fase di transizione che partì dagli anni ’ 90, dalla legge Mattarellum, cioè dal referendum di Segni. Con una legge proporzionale l’elettore diventerebbe davvero protagonista e sovrano come vuole la Costituzione.