Commissariato da Beppe Grillo e Davide Casaleggio, ma anche dai gruppi parlamentari che fremono per far nascere un esecutivo giallo- rosso. Luigi Di Maio è di fatto un capo politico dimezzato, finito sotto processo dopo l’abbraccio mortale con la Lega di Matteo Salvini.

Sei milioni di voti persi in un anno e la sottomissione al Carroccio non possono del resto passare in cavalleria, e per il leader grillino è arrivato il momento di pagare pegno. «È impensabile che sia lui a guidare le trattative col Partitico democratico», confida una fonte pentastellata vicina all’area di sinistra del Movimento.

Di Maio, che fino all’ultimo avrebbe preferito l’opzione urne anticipate, sa che senza accordo con i dem sarebbe costretto a lasciare anche la guida del partito e prova ad assecondare i desideri della base parlamentare ormai pronta a sfiduciarlo. Deputati e senatori chiedono un passo di lato al vice premier e “bisministro” della Repubblica, invocando una gestione collegiale della nuova fase: una sorta di cabina di regia aperta a esponenti finora esclusi dal cerchio magico.

Niente più decisioni prese in caminetti ristrettissimi, ora i grillini vogliono partecipare. Di Maio, con le spalle al muro, è costretto ad accontentarli e convoca capigruppo e capi di Commissione 5S, ventotto persone in tutto, per stabilire la linea da seguire nelle prossime ore. Ma non basta. Oggi sarà necessario un altro passaggio con l’assemblea congiunta degli eletti dopo il colloquio al Quirinale.

«Il MoVimento è unito e compatto intorno al capo politico Luigi Di Maio», sono costretti a precisare in mattinata i capigruppo di Camera e Senato, Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli. «Siamo un monolite. E adesso siamo concentrati sulle consultazioni».

Ma la stessa necessità di una rassicurazione di questo tipo palesa in realtà la spaccatura del partito fondato da Grillo. Che i gruppi non seguano più i diktat del capo politico, infatti, lo sanno anche i muri in casa 5Stelle. In tanti, adesso, osservano più le mosse del Presidente della Camera, Roberto Fico, che quelle del giovane leader di Pomigliano D’Arco per seguire la nuova rotta.

Al fianco di Di Maio rimane solo un pugno di amici fidati, che con lui ha condiviso la virata a destra del M5S: dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, al sottosegretario agli Affari regionali, Stefano Buffagni, fino al ministro per i Rapporti col Parlamento, Riccardo Fraccaro. Gli altri remano già verso nuovi lidi.

Quello che oggi si presenterà da Sergio Mattarella per le consultazioni sarà dunque un capo debolissimo, controllato a vista dai due capigruppo, occhi e orecchie di Grillo e Casaleggio durante la visita al Colle. Perché se D’Uva può ancora essere arruolato tra i fedelissimi, Patuanelli non è certo un “dimaiano” doc. Anzi, il capo dei senatori grillini è uno dei più convinti sostenitori dell’alleanza con i dem, tanto da essere considerato uno dei possibili protagonisti della trattativa con Nicola Zingaretti per far nascere la nuova maggioranza: di fatto, potrebbe esautorare il capo politico in questa fase.

L’epoca dei «taxi del mare» è finita, ora servono figure capaci di dialogare con la sinistra. E tra le condizioni poste dal segretario Pd per un’alleanza spicca la «discontinuità» col precedente esecutivo «riferita sia alle personalità che ai contenuti». Tradotto: no a un Conte- bis ma fuori anche Luigi Di Maio, volto e anima dell’appena conclusa esperienza “del cambiamento”. E se l’ormai ex premier potrebbe comunque riuscire a ritagliarsi un ruolo nel nuovo esecutivo, si vocifera di un possibile trasloco alla Farnesina, per il suo ex vice le porte di Palazzo Chigi sarebbero sbarrate.

A garantire la nuova alleanza potrebbe essere un “tecnico” come Raffaele Cantone o un politico come Roberto Fico, ma è difficile immaginare che il leader ortodosso lasci lo scranno più alto di Montecitorio per lanciarsi in un’avventura dai contorni così incerti.

Intanto, per evitare di rimanere con le casse vuote in caso di elezioni anticipate, Davide Casaleggio invia una lettera ai parlamentari morosi con l’Associazione Rousseau. «Ci risulta che non hai ancora completato le rendicontazioni fino a maggio 2019», recita l’email recapitata ieri mattina. «La scadenza per farlo era il 31 luglio 2019, ti preghiamo pertanto di provvedere al completamento dei mesi indicati entro il 2 settembre in vista di eventuali elezioni e dei relativi controlli da farsi per le candidature». A milioni di elettori si può pure rinunciare, ma agli introiti preventivati a inizio anno no.