Ufficialmente doveva essere la capigruppo che avrebbe dovuto decidere la data della mozione di sfiducia che Matteo Salvini ha recapitato la scorsa settimana al premier Giuseppe Conte.

Ma nella realtà è stato il primo miglio della strada che dovrebbe condurre alle elezioni - almeno nelle intenzioni del leader leghista - oppure, in tempi e modi tutti da vedere, alla nascita di un nuovo governo, magari sponsorizzato dal Quirinale.

DECIDE L'AULA Insomma, ieri al Senato è andata in scena la prima battaglia dell’era post- contratto gialloverde. E la presidente Casellati ha subito messo le cose in chiaro: in caso di mancata unanimità la discussione sarebbe stata spostata in Aula. E per prevenire i malumori di qualcuno, la presidente si è appellata regolamento: «L’art. 55, Comma 3, prevede infatti che sulle proposte di modifica del calendario decida esclusivamente l’Assemblea, che è sovrana. Non il presidente, dunque». «In un momento così delicato per il paese, l’unico metro possibile da adottare a garanzia di tutti i cittadini è il rispetto delle regole», ha poi aggiunto.

Dunque parola all’Aula. E sì perché sono bastate poche decine di minuti per capire che in capigruppo non c’era alcuna possibilità di intesa sui tempi con cui gestire la crisi.

I senatori sono stati dunque convocati alle 18 di oggi, ma già da ieri sera è iniziata la conta dei voti. Con qualcuno che studiava le mosse più adatte per azzoppare Salvini. A cominciare dall’ex presidente del Senato, Piero Grasso che ha studiato fin nel minimo dettaglio le trappole da piazzare sulla strada del trionfo salviniano: «Se 5 Stelle, Pd e Misto sono scaltri - ha infatti spiegatoGrasso - Salvini non potrà vincere questa partita e umiliare il Parlamento col suo 17% di voti». «Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia - ha poi spiegato numeri alla mano - in Senato non hanno la maggioranza di 161 voti necessaria per imporre nulla. Basterà contarsi prima: se i senatori di centrodestra sono meno degli altri si potrà votare il calendario in Aula, e fissare la discussione per il 20 agosto ( o il 21, o il 22). Se invece sono di più, semplicemente se gli altri non entreranno in Aula il centrodestra non avrà mai il numero legale per il blitz, e saranno costretti a rimandare di giorno in giorno l’Assemblea.

PD E LEU ALL'ATTACCO In questo modo Salvini, ogni giorno più nervoso e contestato, capirà che il Parlamento non è a sua disposizione, per ora». Ma al di là del voto di stasera, la capigruppo ha deciso anche che il premier Conte dovrà riferire in Aula il prossimo 20 agosto. Ma la decisione di portare la discussione su calendario in Aula in tempi così brevi ha scatenato la protesta di Pd, Leu e gruppo misto: «È una cosa gravissima - ha commentato la presidente del Misto Loredana De Petris al termine della conferenza dei capigruppo - perché non permetterà a tutti i senatori di essere presenti».

«Una forzatura gravissima e inaudita che favorisce Salvini», ha poi rilanciato il capogruppo del Pd Andrea Marcucci. A cui a fatto seguito un appello ai parlamentari in vacanza: «Sarà fondamentale la presenza di tutti. Vi chiediamo cortesemente di iniziare a valutare come meglio organizzarvi per rientrare a Roma. Seguiranno indicazioni più precise» . L’altra notizia riguarda il centrodestra che, proprio in conferenza dei capigruppo ha ritrovato l’unità perduta. Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno infatti chiesto che l’Aula fosse convocata mercoledì 14 agosto, dopo le commemorazioni sul crollo del Ponte di Genova.

E, soprattutto, hanno chiesto che la seduta fosse dedicata all’esame e al voto sulla mozione di sfiducia presentata dalla Lega nei confronti del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Ma non avendo raggiunto la maggioranza in capigruppo - ha prevalso la proposta di M5s, Pd, Misto e Autonomie sulla seduta il 20 con le comunicazioni di Conte - sarà l’Aula di oggi a doversi esprimere, sempre che i tre gruppi di centrodestra ripropongano la richiesta. A questo punto sarebbe una richiesta di modifica del calendario stabilito dalla capigruppo ( ma appunto non definitivo in quanto non vi è stata l’unanimità) e si svolgerà un voto. Avrà la meglio chi ha la maggioranza dei voti.