Addio al segretario premier. Il momento dello showdown è fissato per sabato prossimo, nell’aria condizionata dell’hotel Ergife di Roma.

Nella torrida estate romana, minaccia di consumarsi il primo vero strappo politico della segreteria Zingaretti, ma soprattutto il cambiamento antropologico del Partito democratico.

LA PROPOSTA DI MARTINA

Il primo a lanciare il sasso ( e a ritirare subito la mano) è l’ex segretario Maurizio Martina, cui Zingaretti ha dato la guida della Commissione Statuto. Nome burocratico ma tema caldissimo, Martina spiega che «il segretario non sarà automaticamente il candidato premier» e anticipa che «il partito verrà rivoltato come un calzino».

In sintesi, addio per sempre alla vocazione maggioritaria di veltroniana memoria e un duro colpo anche al meccanismo delle primarie come strumento che dando la parola agli elettori e non solo agli iscritti - legittimano politicamente il segretario ad essere il candidato premier.

Apriti cielo, a colpi di agenzie e dichiarazioni: i renziani da una parte con Roberto Giachetti in testa che accusano la segreteria di voler arrivare all’assemblea con i documenti già scritti e di voler archiviare il Pd; Dario Franceschini che si lascia sfuggire solo un cauto «Martina ha detto cose di comune buonsenso» ; gli zingarettiani che giurano che nulla è deciso e che l’assemblea è sovrana.

LA BASE SI SCALDA

Intanto, fuori dalle porte del Nazareno, la base del partito scalpita, si divide, si arrabbia. Proprio la rabbia è il sentimento più diffuso, che coinvolge renziani e non: «La discussione sulla forma partito a colpi di agenzie e interviste.

Il 10 di luglio. Con 40 gradi all'ombra. Come intercettiamo noi del PD le priorità del Paese nessuno mai» è la sintesi di Dario Ballini, militante dell’Isola d’Elba. Eppure - tempismo a parte che del Pd non è mai stato punto forte - la questione rimane sostanziale e divide i fronti del partito in due blocchi compatti anche tra i militanti.

Sul fronte del sì alla divisione dei ruoli si collocano soprattutto gli ex, quelli che provengono da esperienze politiche precedente e l’argomentazione è sempre la stessa: il doppio ruolo svuota il partito e lo schiaccia sul governo, perchè «Per fare bene nei due ruoli ci vogliono caratteristiche completamente differenti», scrive un militante.

Su quello del no, le voci sono quelle di chi si sente più elettore che vero militante del partito e la sintesi di queste posizioni si legge sulla pagina Facebook di Martina: «Così si torna al secolo scorso e alla strategia delle paure.

Garanzia di abbonamento alla sconfitta», scrive un giovane elettore, anche perchè «la storia ci ha detto che il premier indicato dai partiti è stato sempre logorato e silurato. Chiedere a Prodi!».

Il dibattito sul tema accende gli animi e risveglia vecchie appartenenze, eppure su un elemento entrambe le fazioni ritornano, qualcuno addirittura scomodando Fabrizio Barca, autore della cosiddetta “relazione sui circoli” romani. Il nodo vero, a conti fatti, è la partecipazione.

IL NODO DELLE PRIMARIE

Nella pachidermica struttura del partito, le primarie ( siano per il segretario o per il segretario- premier) gravano tutte sulle spalle dei segretari dei circoli locali, sempre più in crisi sia economica che di partecipazione, oltre che imbrigliati in un meccanismo organizzativo baroccheggiante che in molti chiedono di riformare.

«Mappatura dei circoli, per stabilire linee guida e criteri di apertura e mantenimento, chiudendo o commissariando quelli che non rispettano gli standard minimi», chiede un sostenitore della linea di Martina.

Eppure, i due giorni prima dell’assemblea di sabato sono lunghi da far passare. E sulle bacheche dei renziani doc inizia ad essere condiviso un evento organizato dalla rete di “Ritorno al Futuro - Comitati di Azione Civile dedicato al contrasto delle fake news”, a Milano, il giorno prima dell’assemblea romana. Ospite unico: Matteo Renzi.