Sono tempi difficili per la magistratura, colpita dalle vicende che sappiamo. Lo sono pure per la giurisdizione che perde di credibilità agli occhi dell’intera collettività. E noi avvocati ne facciamo parte, ragion per cui sarebbe sbagliato chiamarsi fuori o, peggio, inferire con critiche generalizzate.

La magistratura resta sana e deve essere sostenuta nella sua reazione, di cui peraltro cominciano già a vedersi i primi risultati. Non per questo va minimizzata la deriva autoreferenziale e sclerotizzante di cui la vicenda Palamara rappresenta certo l’aspetto più sorprendente, mentre già si aveva sentore di una pratica sommersa di mediazioni tra correnti che hanno perso molto dell’originario spirito ideale. Un protagonista del passato come Luciano Violante ha parlato di “concezione proprietaria della funzione giurisdizionale da parte della magistratura”.

Il nuovo Presidente dell’Anm, Luca Poniz (per lui auguri sinceri!), ha esordito con affermazioni forti. Ha detto che in Costituzione c’è scritto che il magistrato non deve pensare alla carriera ed ha dettato una serie di regole per esaltare lo spirito di servizio. Programma ambizioso, è difficile che basti l’appello alle coscienze ( per giunta senza inibire l’accesso al Cosmag, sito di graduatorie e concorsi).

Una riforma del Csm, volta a contrastare la spartizione carrieristica, appare ineludibile. Ma caso vuole che proprio adesso sia all’attenzione del Parlamento anche la riforma della separazione delle carriere. Una concomitanza che fa intensificare le opinioni contrarie che in questi giorni vengono espresse con la consapevolezza dell’accresciuta attenzione pubblica al tema. Ed infatti, il fuoco di sbarramento pare avere abbandonato i ritornelli un po’ consunti del passato, tipo la “cultura della giurisdizione” ed il “pericolo di assoggettamento al potere politico” dei pubblici ministeri.

Alla sottomissione dei Pm ormai non crede nessuno, adesso ci si concentra sull’argomento dell’appartenenza alla giurisdizione. Tema portante della contrarietà alla separazione delle carriere è che, in tempi di populismo giudiziario, sganciare i Pm dai Giudici significherebbe creare una casta di super poliziotti dotati di poteri, autonomia e preparazione tali da favorire deviazioni autoritarie.

Il Pm che condivide la carriera e la cultura del Giudice - si afferma - garantisce il rispetto dei diritti di tutti e non cede alle lusinghe del potere di cui dispone. Tutto molto bello, ma avrei due obiezioni. La prima è che anche l’avvocato è parte della giurisdizione e, tuttavia, riesce ad essere garante del ruolo che svolge ( quello difensivo) senza dover condividere la propria carriera con altri. La tenuta etica e culturale dei soggetti della giurisdizione va ricercata in se stessi, non nel sostegno esterno, quasi ad ammettere che da soli non se ne ha la forza.

La seconda osservazione è che proprio i fatti di questi giorni smentiscono che il sistema delle carriere congiunte sia in grado di evitare il fenomeno paventato dell’ipertrofia dei Pm. Fenomeno drammaticamente in atto, basti pensare che al centro delle trame in corso di disvelamento c’erano i prossimi incarichi delle grandi Procure. A questo si aggiunge che il ruolo dei pubblici ministeri è preponderante dentro l’Anm: si guardino i presidenti degli ultimi anni. Inoltre, la consacrazione della politica spartitoria si è vista proprio nella componente requirente dove - alle ultime elezioni del CSM - i Pm candidati erano quattro, quanto i posti assegnati. Rigorosamente uno per corrente!

Inevitabile chiedersi: di più e di peggio della situazione attuale cosa potrebbe succedere se le carriere venissero separate?

Quanto agli altri argomenti di battaglia, rimane l’intramontabile classico della mozione degli affetti: il giudice è bravo e serio, quindi è ingeneroso metterne in discussione l’imparzialità. Come dire, giochiamo gli internazionali di tennis anche se arbitra mio cugino, perché lui è persona integerrima; e se protesti fai la figura del malfidente. Ovviamente, non è un buon modo di ragionare. I sistemi devono poter stare in equilibrio in ogni evenienza, anche in quella più remota e patologica. E l’unico equilibrio possibile si fonda oltre che sull’imparzialità, anche sulla “terzietà”: requisito previsto dall’art. 111 della Costituzione che, chiaramente, presuppone l’appartenenza a carriere diverse, governate da Organi di governo separati.

Il Giudice il cui avanzamento in carriera dipenda anche dal PM non si colloca dentro un sistema equilibrato: pertanto il cambiamento ci vuole. Salvo che ci si arrenda alla “concezione proprietaria” di cui parla Violante. Salvo illudersi che si possa davvero cancellare qualsiasi pensiero di carriera dalle menti ( e l’accesso al Cosmag dai computer).

* Presidente dell’Ordine avvocati di Milano