La notizia, temuta, è arrivata ieri mattina quando attraverso un tweet si è appreso che l’avvocata iraniana Nasrin Sotoudeh è stata condannata a 33 anni di carcere e ben 148 frustate. L’esito negativo della sentenza è stato reso noto dal marito di Nasrin, Reza Khandan, che ha anche precisato i termini della vicenda giudiziaria confermando la decisione di primo grado risalente allo scorso marzo.

L’avvocata si trova, dal giugno del 2018, nel famigerato carcere di Evin, a Theran ( già impiegato dalla polizia segreta dello Scià Reza Palevi), qui vengono rinchiusi giornalisti iraniani e stranieri, blogger, attivisti, studenti, registi, scrittori. Chiunque abbia in qualche modo espresso la propria critica contro il regime degli Ayatollah. Sono sette, e molto pesanti, i capi d’imputazione per i quali Nasrin Sotoudeh è accusata, si va dall’' aver complottato contro la sicurezza nazionale' alle ' minacce contro il sistema', ' istigazione alla corruzione e la prostituzione'. Ma soprattutto per essere ' comparsa senza velo in un'aula di tribunale'.

La legale iraniana infatti è un’attivista per i diritti civili e politici, la sua colpa principale è proprio quella di aver difeso alcune donne che avevano sfidato il divieto di non portare l’hijab ( il tradizionale velo femminile obbligatorio nella Repubblica sciita) in pubblico. Reza Khandan ha spiegato che nonostante avesse 20 giorni di tempo per presentare ricorso contro il verdetto di primo grado, Nasrin Sotoudeh ha rinunciato a questo diritto come atto di protesta nei confronti di un procedimento che ha giudicato come irregolare e persecutorio, una decisione che sembra essere stata presa già a marzo.

Secondo l’agenzia di stampa ufficiale Irna, in realtà l’avvocata iraniana sconterà 12 anni riferiti solo al reato più grave. A preoccupare intanto sono le condizioni della sua carcerazione, a quanto riporta ancora l’Irna, le autorità carcerarie avrebbero trovato un paio di forbici tra gli oggetti della detenuta sospendendo per tre settimane la possibilità di ricevere visite.

La storia di Nasrin Sotoudeh è balzata fin dalle prime battute alla ribalta internazionale, catturando l’attenzione dei media ai quattro angoli del pianeta.

Sono stati numerosi gli appelli per una sua immediata liberazione, in suo favore si è mossa anche la diplomazia internazionale ai massimi livelli, a partire dalla Francia.

Il 10 aprile scorso infatti il presidente, Emmanuel Macron, ha avuto un colloquio telefonico con il suo omologo iraniano Hassan Rohuani, durante il quale ha sollevato il caso e chiesto la scarcerazione della Sotoudeh.

A sostegno della legale dei diritti umani si è espresso anche il Parlamento Europeo che già nel 2012 l’aveva insignita del premio Sakharov per le sue battaglie in favore dei diritti delle donne e contro la pena di morte.

Amnesty International, che ha sempre definito il processo «gravemente ingiusto», da tempo ha lanciato una campagna per raggiungere l’obiettivo di un milione di firme.

Riccardo Noury di Amnesty Italia ha dichiarato che tutto ciò «è sconfortante e raddoppieremo i nostri sforzi perché si possa trovare una strada extragiudiziale di annullamento della condanna e per il rilascio di Nasrin».