«Oggi l’Europa è un equilibratore internazionale: uniti siamo forti ed autorevoli». Un punto fermo e incontrovertibile, per l'europarlamentare Pd Giuseppe Ferrandino, in un momento storico in cui la coesione e la credibilità della Ue viene, da più parti e con accenti diversi, messa in discussione, in vista delle elezioni del 26 maggio, decisive per l'orientamento futuro del percorso europeo. On. Ferrandino, a queste nuove elezioni europee il Ppe e il Pse potrebbero, insieme, non raggiungere la maggioranza. È preoccupato dall'emergere dell'onda sovranista o pensa che il 26 maggio il Pd sarà in grado di imporsi sulla Lega? Si stanno ridefinendo i campi ideologici e probabilmente i contenitori tradizionali non riescono a rappresentare in pieno le istanze che emergono dalla società civile, a livello nazionale ed europeo. Dalle proiezioni entrambi i partiti perderanno seggi, ma il dato è che il gruppo europeista sarà ancora maggioranza. Sono preoccupato dai sovranisti per il messaggio di cui si fanno portavoce: servono correttivi ed è fuori di dubbio, ma anche solo ipotizzare un percorso a ritroso che ci riconduca alla forma di Stato Nazione del ‘900 è pericoloso, anacronistico e sbagliato. Crede nel listone proposto da Carlo Calenda, nonostante alcune defezioni eccellenti come quelle di + Europa e del movimento di Pizzarotti? E cosa fare al riguardo degli ex scissionisti del Pd? Carlo ha acume politico e intuito, Siamo Europei è un messaggio semplice ma al contempo efficace, che racchiude in due parole il senso del nostro percorso politico. Oggi il Pd ha il dovere di offrire una visione alternativa al nazional-populismo, ponendosi come riferimento principale di tutti quei milioni di italiani convinti che l’Italia debba essere un attore protagonista sullo scacchiere europeo piuttosto che elemento di destabilizzazione. Nell'ottobre di quest'anno si profila un'altra importante scadenza: la fine del mandato di Mario Draghi da governatore della BCE. Crede che ciò destabilizzerà in maniera sensibile il quadro socio-economico a livello italiano e internazionale? Draghi ha lavorato tanto e bene. Quatitative easing e tasso dei mutui, ad esempio, sono stati decisivi nel favorire gli investimenti e dare respiro all’economia. Poi però sono arrivati Salvini e Di Maio. Investimenti azzerati, cantieri bloccati, crisi occupazionale, contrazione del Pil. In un anno sono riusciti a vanificare quanto di buono fatto nei 5 anni precedenti dal Partito Democratico, facendo sprofondare l’Italia in uno scenario economico simile a quello del 2008. A suo avviso, il nuovo Pd di Zingaretti riuscirà a incarnare un corso rinnovato del partito e un nuovo cammino riformista? E pensa che anche i renziani ne faranno parte? Senza dubbio Nicola ha portato una ventata di freschezza e restituito fiducia. Lo apprezzo per la chiarezza delle idee, a cominciare dalla necessità di organizzare in maniera più sistematica la comunicazione del Pd. È un tema su cui paradossalmente siamo stati carenti, a differenza dei nostri avversari. Renzi è una parte consistente e fondamentale del Partito Democratico: non solo dovrà far parte del nuovo corso, ma il suo contributo sarà come al solito determinante. Scorge la possibilità di nuove elezioni all'orizzonte? E, in tal caso, il Pd si farà trovare preparato? L’impressione è che si voterà a breve, subito dopo le europee. Le contraddizioni in seno ai partiti di Governo sono già emerse su molteplici aspetti. Sono uniti più dalla brama di potere che dalla condivisione di un percorso politico, da una prospettiva per il Paese. Hanno messo in campo iniziative destinate a massimizzare il profitto in termini elettorali – come reddito di cittadinanza e quota 100 – incuranti delle conseguenze. Il prossimo anno scatteranno le clausole di salvaguardia, l’iva schizzerà al 25%. Non se ne curano perché sanno che non saranno più al Governo, hanno una visione miope ed irresponsabile. Lei è nato a Ischia, dove ha esercitato una parte significativa della sua attività politica. La persuadono i progetti di autonomia regionale portati avanti da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna? Sono contrario al federalismo, in ogni sua forma, almeno fino a quando non saranno risolte le criticità che ancora deve affrontare il Meridione, soprattutto su porti, infrastrutture e trasporti. Volete il Federalismo? Allora mettete il Meridione nella condizione di poter competere alla pari con il Nord e con il resto d’Europa. Trattenere oggi le risorse al Nord significherebbe distruggere ogni prospettiva di crescita e sviluppo da Roma in giù.