Adesso che le carte sono tutte sul tavolo e che le candidature per la segreteria del Pd sono, per così dire “in chiaro”, per Claudio Petruccioli comincia la partita vera, quella che segnerà l’attività politica della sinistra e non solo, per i prossimi mesi e forse anni. Che non è il superamento di un riflesso aristocratico o elitario quanto la costruzione di una piattaforma politica capace di battere il populismo e il sovranismo. «Per la politica e la democrazia - osserva l’ex presidente Rai si apre un capitolo nuovo ed estremamente impegnativo: liberarsi dalla zavorra del populismo o meglio ridurne progressivamente le dosi. Proporsi seriamente una lotta per la disintossicazione e cominciarla davvero. Avviandola senza ricorrere agli strumenti ideologici del Novecento, che controllavano e riuscivano a disciplinare in una certa misura il populismo ma, nello stesso tempo, lo utilizzavano e lo perpetuavano. E’ un lavoro lungo e difficile, una vera e propria rivoluzione culturale; ma può essere anche una grande occasione».

In concreto cosa dovrebbe fare la sinistra e l’intero fronte anti populista?

Una cosa allo stesso semplice e, come diceva Gramsci, rivoluzionaria, perciò difficilissima: dire la verità. Impegnarsi per una gigantesca operazione verità rispetto alla narrazione che viene propalata e che ha radici ben piantate nel passato.

Vaste programme, avrebbe detto De Gaulle. Vuole cominciare lei?

Serve una premessa di tipo storico. La spinta populista, caudataria e servile di una presunta “volontà popolare”, esiste da sempre e in tutti i regimi, autoritari o totalitari ma anche democratici. Man mano che è cresciuta la presenza delle masse in politica, è cresciuta di pari passo la molla populista per la raccolta del consenso. Certo, il populismo risulta meno necessario e dunque meno utilizzato laddove ci sono istituzioni liberal- democratiche forti. Non a caso il populismo, nelle sue forme più sgangherate e “insultanti”, domina in America Latina: il peronismo ne è l’esempio classico. Ma ce n’è traccia già nella democrazia ateniese, vedi Tucidide o Aristofane. A Roma, i congiurati che uccidono Cesare, già populista di suo, vengono sconfitti dall’abilità populistica di Augusto. All’epoca si chiamava demagogia ed era considerata la degenerazione della democrazia.

L’abbiamo presa alla lontana...

È necessario. Bisogna tener presenti i passaggi storici per capire i fenomeni politici. Facciamo un balzo di secoli. Nel Novecento il populismo covava, eccome, anche nei partiti. Per non parlare del populismo totalitario del fascismo, una forte dose di populismo allignava nelle due maggiori forze politiche ( Dc e Pci) dell’Italia repubblicana; se non lo si vede, non si capisce nulla di quel che è successo dopo. Le pensioni per i dipendenti pubblici dopo 14 anni, sei mesi e un giorno di lavoro, misura ultra populista, sono dei primi anni ‘ 70, quando il boom economico si è esaurito. Il segno principale delle riforme cosiddette “di struttura” propugnate dal Pci ( e anche dal Psi), era l’incompatibilità con l’assetto economico dell’epoca. E a chi faceva notare che così i conti andavano fuori controllo e quando si fosse andati al governo ci si sarebbe trovati in difficoltà, la risposta era: “Ma quando andremo al governo noi cambia tutto”.

Slogan che è riecheggiato alla grande nella campagna elettorale del 4 marzo, che ha visto prevalere M5S e Lega...

Lasciamo stare i parallelismi. Quel che va sottolineato è che queste spinte populiste sempre esistite sono state tenute, diciamo così, sotto controllo finché le ideologie per un verso e le istituzioni per l’altro hanno retto; e, soprattutto, fino a quando la regola del mondo era imposta dai due “blocchi”. A Est, dopo la caduta del Muro e l’eclissi del totalitarismo, è invece dilagato senza più contrappesi. A Ovest ne è espressione la crisi della politica di cui si parla da decenni e a ragion veduta, perché il primo compito della politica è “gestire il populismo”.

Scusi, sta sostenendo che per combattere il populismo bisogna tornare alle ideologie o alla politica in senso autoritario?

Ovviamente no: dico che finita l’epoca dei blocchi stanno rivenendo fuori i nazionalismi in tutta la loro pervicacia, e il populismo tracima allo steso modo. Compito di chi crede nella democrazia è arginare questo fiume impetuoso che intende fare tabula rasa dei meccanismi di rappresentanza e garanzia.

Insisto. Esattamente, come? Questa sua invocazione a “dire la verità “ non può essa pure essere tacciata di larvato populismo?

Mi rendo conto che può apparire fin troppo semplice. Ma a mio avviso è l’unica strada: bisogna cominciare a dire la verità.

Ma che vuol dire? Bocciare il reddito di cittadinanza? La flat tax? La politica sull’immigrazione di Salvini? O aspettare sulla riva del fiume il cadavere del governo gialloverde?

Dire la verità significa che a sinistra dobbiamo cominciare a comportarci come non abbiamo mai fatto. E in questo modo esprimo una critica severa anche verso Renzi. Anche lui non ha detto la verità. La verità di quanto duro, lungo e impegnativo è il lavoro che si deve fare nel nostro Paese.

Per riattivare lo sviluppo, per ritrovare un equilibrio demografico, per innalzare al giusto livello la formazione scolastica. Per introdurre un sistema di adeguamento permanente delle capacità tecnico- professionali dei lavoratori. Questo è ciò che è decisivo fare: dire la verità e far leva sul senso di responsabilità di tutti. Il riformismo di Renzi è stato un riformismo con poca verità, perciò intriso anch’esso di populismo.

Con quale obiettivo, Petruccioli? Ricondurre al Pd i voti persi per strada verso i Cinquestelle? O verso l’astensione?

L’obiettivo di questo brandire la verità contro la demagogia populista è cercare di svuotare il populismo proponendo di far svegliare dall’incantamento delle sue sirene le energie, alcune anche di sinistra, che per disillusione o sfiducia si sono affidate all’onda montante o hanno preferito stare alla finestra. Chi scommette sulla rottura dell’asse gialloverde non può immaginare di riuscirci poggiandosi su uno o l’altro dei due partiti che formano l’attuale maggioranza. Al contrario, così quella liaison si rinforza. Si deve far saltare nel suo insieme l’operazione in corso; per farlo si devono introdurre due cunei forti, capaci di spezzare l’abbraccio pentaleghista. Uno di tipo sociale, economico e culturale che ha al centro il tema dello sviluppo. L’altro di tipo istituzionale e a difesa dell’ancoraggio europeo, con il potenziamento dell’intelaiatura liberal- democratica contro scivolate autoritarie.

La sua operazione verità necessita di tempo: comporta un lavoro di scavo in profondità. Come la mettiamo con le prossime scadenze, dalla legge di bilancio alle elezioni europee? Certo che è un lavoro lungo. Il rigurgito profondo che fuoriesce dalla pancia del Paese ( ma in realtà di tutta l’Europa, almeno) non è che si risolve in quattro e quattr’otto, rimettendo le questioni più imbarazzanti sotto al tappeto come si fa con la polvere.

Insisto. Sarà certamente affascinante sotto il profilo intellettuale, ma lo sforzo che lei chiede non di quelli che scaldano i cuori. Tanto meno a sinistra. E allora? Forse vado controcorrente, anche se non credo: a mio avviso per un impegno di questo genere esiste un’audience enorme tra i cittadini. L’operazione verità sull’Europa non la sta facendo nessuno; intendo una operazione verità che spieghi come i problemi che abbiamo non sono il risultato di freni che arrivano dai mandarini o dai burocrati di Bruxelles ma sono dovuti alle enormi inefficienze italiane. Dobbiamo aiutare gli italiani a prendere coscienza di ciò che già sanno ma che non vogliono raccontarsi. Sono trent’anni che la produttività da noi cresce molto meno della media europea, quando non è ferma. Gli investimenti sono bloccati da tempo. Il debito al 132 per cento l’abbiamo fatto noi, mica l’Europa.

Posso usare un po’ di politichese? L’operazione verità è togliere dallo stordimento quella fetta di elettori di sinistra finiti coi Cinquestelle?

Bisogna liberare dalla morsa dei Cinquestelle quel pezzo di elettorato disponibile a riconoscersi di sinistra. Non liberare i Cinquestelle da Salvini: entrambi hanno stipulato un patto di potere che resiste e resisterà fin quando possono.

Ma non è che come molti anche lei è ossessionato dai Cinquestelle? Per un uomo di sinistra non è forse Salvini il pericolo più grande?

A mio avviso il ruolo della sinistra, da adesso in poi, è regolare i conti con i Cinquestelle. Salvini è la destra. Ha capitalizzato le paure degli italiani e il bisogno di sicurezza con un discorso chiaramente di destra. Su questo tema la sinistra è molto indietro. Salvini ha avuto campo libero nel legare la sicurezza all’immigrazione: una operazione furbesca e anche ingannevole. Ricordiamo i fatti di Macerata e quelli di San Lorenzo a Roma? Si tratta di due femminicidi; ci sono di mezzo anche immigrati. Tuttavia in entrambe le vicende la vera protagonista è la droga. E della droga non parla più nessuno! A Roma c’è una rete di distribuzione di tutti i tipi di droga il cui fatturato supera qualunque altro settore economico. Ma nessuno ne parla. Ecco l’operazione verità che deve essere fatta! L’ultimo fra i politici italiani che ha parlato di droga come problema che riguarda anche la politica è stato Bettino Craxi. Nello stesso tempo è fondamentale sforzarsi di liberare dall’ipoteca della destra illiberale i moderati che sono da quella parte. Oggi la destra c’è, ed è la Lega. Manca la sinistra: i Cinquestelle non sono la sinistra, questo è il travisamento da sconfiggere. Io Rousseau l’ho studiato. La premessa della democrazia diretta e della volontà generale è la società chiusa. La democrazia diretta disvela la “volontà generale” a cui tutti poi devono sottomettersi; come avveniva nei processi staliniani. La radice del totalitarismo sta lì. Un’equazione Cinquestelle- totalitarismo? Non è un po’ troppo? Il totalitarismo c’entra eccome. Ma anche volendolo mettere sullo sfondo, il punto vero dei Cinquestelle è il contrasto alla modernità. È la modernità che, a loro avviso, produce ingiustizia, immoralità e ineguaglianza. Il loro dogma sta qui. Il reddito di cittadinanza finirà per rafforzare la presa mafioso- camorrista nel Mezzogiorno perché a prendere quei quattro soldi saranno gli stessi che da sempre usufruiscono delle false pensioni di invalidità e ad aumentare potere saranno quelli che controllano le gestioni; come per gli appalti. È il rifiuto della modernità il vero problema del Sud d’Italia.

Conclusione?

Riformismo e populismo sono incompatibili. Il riformismo si impegna per realizzare cose che poi sottopone al controllo e alla verifica delle persone, dei cittadini; il populismo promette l’impossibile, ovviamente non lo realizza e ne dà la colpa a nemici e complotti inesistenti. Il populismo ha bisogno di menzogne, il riformismo ha bisogno di verità.