Quando si sarà depositata la polvere di polemiche per le regionali in Sicilia, si alzerà il sipario sul Quirinale. Dopo aver promulgato la legge elettorale, dal Colle si guarderà con la consueta attenzione all’evoluzione del quadro politico, che promette qualche colpo di scena se il risultato del Pd sarà al di sotto delle ( già basse) aspettative. Poi, in accordo con il presidente del Consiglio, si deciderà della “convocazione dei comizi”, come tecnicamente si chiama lo scioglimento delle Camere: la legislatura che si era aperta un 15 marzo non puó protrarsi oltre quel termine. Ma, secondo le valutazioni prevalenti in questi giorni, intorno a quella data ( il 4, l’ 11, o meglio ancora il 18) gli italiani potrebbero essere chiamati alle urne. Per farlo, lo scioglimento delle Camere dovrebbe avvenire attorno a Natale. Se sarà così, vorrà dire che Paolo Gentiloni non avrà ritenuto di chiedere tempo ulteriore al Capo dello Stato, e dunque di restare fino al 14 marzo nel pieno delle proprie funzioni e non solo per il disbrigo degli affari correnti, per poter cercare di varare qualche altro provvedimento, ius soli o fine vita, o altro ancora.

Di questa «ordinata chiusura della Legislatura» ha parlato - senza scendere nei dettagli - Paolo Gentiloni, nella curiosa condizione di chiederla pubblicamente, dal palco della recente Conferenza programmatica del Pd in quel di Napoli, al segretario del Pd Matteo Renzi, rendendo plastica la rappresentazione di quanto il suo sia solo e davvero un “governo amico”, secondo l’espressione che venne coniata dalla Dc pronta a sbarazzarsi senza troppe remore di governi che sentiva vicini, ma non propri.

Quell’espressione, «ordinata chiusura della Legislatura», appartiene al lessico di Sergio Mattarella. Il Quirinale vien detto “Colle più alto” perché sovrasta anche moralmente le bolge inquiete della politica quotidiana, e lavora «più pel le- vare che pel mettere», sfrondando rivalità e inquietudini, anche addentrandosi felpatamente nella giungla della politique politicienne per sfoltirne il superfluo e tenere la strada, talvolta costruendola materialmente. Come è del resto perfettamente nel carattere di Sergio Mattarella, del quale bisogna decrittare ogni mossa: risalta certamente questa attitudine presidenziale a lavorare sottotraccia, ma non per questo relegandosi in un ruolo notarile ( che peraltro non ha mai avuto nes- sun capo dello Stato) per comparazione con lo stile interventista di Napolitano: ma appunto solo di diverse modalità si tratta. L’attuale inquilino del Colle è convinto che il Paese abbia bisogno di serenità, che occorra una guida tranquilla ( di qui la forte sintonia con Gentiloni), e può apparire agli sguardi superficiali fermo, come un’istanza superiore e inaccessibile. In realtà opera alacremente, seminando e predisponendo, esaminando e sondando. Ma sempre sottotraccia.

Qualche giorno fa, per esempio, solo qualche striminzito trafiletto di giornale ha dato conto del fatto che Mattarella abbia rimandato una legge alle Camere. Di quella che è una delle poche armi presidenziali, e che ogni capo dello Stato ha usato una o due volte nell’intero mandato ( poiché come si sa poi le Camere hanno il potere di approvare comunque quella legge, e il presidente l’obbligo di promulgarla, e nessun inquilino del Colle ama farsi smentire) non han scritto articolesse i quirinalisti e non han discettato i tg in prime time: eppure, si trattava della legge sulle mine anti- uomo, nella quale Mattarella ha rilevato la manifesta incostituzionalità ( il criterio per rispedire una legge in Parlamento) in un codicillo che depenalizzava le banche che danno finanziamenti ai produttori degli ordigni che la legge stessa si prometteva di contrastare. Il Quirinale ha rimandato la legge alle Camere ed emesso una lunga spiegazione coi riferimenti alla Costituzione e ai Trattati ( Ottawa e Oslo) violati. Ma due giorni prima Mattarella aveva preparato il terreno. A un giovane che glielo chiedeva, ha risposto: «Non conta come la penso io, posso rimandare alle Camere solo leggi che violino manifestamente la Costituzione». Per il resto - e ogni riferimento al Rosatellum che ha firmato proprio ieri non è casuale - c’è la Corte costituzionale, e la trafila che comporta ricorrervi. Ma ovviamente, pronta è stata la consultazione con Palazzo Chigi.

Ancora prima, il caso Banca d’Italia è forse ancora più significativo. Davanti alla mozione parlamentare del partito di maggioranza, e all’insaputa sia del Colle che di Palazzo Chigi, Napolitano avrebbe probabilmente dettato una nota ufficiale di fuoco, anche per tutelare l’Italia, la solidità del governo ( cui spetta per legge l’indicazione del nome), e la reputazione internazionale dell’Istituto centrale. Mattarella ha raggiunto gli stessi obiettivi semplicemente usando la propria ferma determinazione. Non si è neanche saputo che, temendo che la partita si riaprisse in Consiglio dei ministri, non solo la designazione di Visco da parte di Gentiloni è stata anticipata come notizia certa ai mezzi di informazione, ma è stato il Colle a “sconsigliare” sommessamente che i rappresentanti renziani al governo e Maria Elena Boschi non si presentassero in quel Consiglio dei ministri. Dove poi è stato Dario Franceschini ( che notoriamente ha con Mattarella un filo diretto) a proporre di non discutere nemmeno sul nome che Gentiloni aveva scelto. Tutto è filato così liscio, e la mozione parlamentare che entrava pesantemente nelle prerogative dello stesso Mattarella, è stata archiviata. Una boutade, o poco più.