Ci sono due cose, nel discorso di Gennaro Migliore, lontane in apparenza ma suscettibili di essere interpretate allo stesso modo: le barricate sulla prescrizione minacciate in Senato e lo stillicidio quotidiano contro Renzi. «C’è un momento in cui l’interesse generale deve prevalere su tutto», dice il sottosegretario alla Giustizia. E vale per entrambe le questioni: la necessità di condurre in porto la tormentata riforma del processo e le scelte sul futuro del Pd. Nel primo caso ad anteporre «il tatticismo» rispetto alle «esigenze del Paese in materia di giustizia» è il gruppo verdiniano. Nel secondo, la minoranza interna, e in particolare D’Alema.

C’è chi ha detto che il ddl penale è stato rimesso in agenda in modo da creare l’incidente per la crisi di governo. Cosa risponde?

Votatelo. È una necessità per il Paese, che segnaliamo da tempo. Mi pare siano state risolte le contraddizioni tra le forze della maggioranza, e non credo si tratti di una di quelle riforme che giustificano la radicalizzazione del confronto. Mi rivolgo all’opposizione e dico: se avete a cuore l’interesse del Paese non fate ostruzionismo su questo provvedimento.

I verdiniani hanno già garantito il loro voto contrario.

Il che temo denoti anche il grado di buonafede con cui hanno affrontato certe soluzioni politiche. Credo che i vari gruppi di opposizione debbano sentire il dovere di non speculare su materie rilevanti come il processo penale o il processo civile, non vedo perché si debbano fare prove forza su riforme che rispondono a esigenze avvertite nel Paese.

Difficile che in Senato vada tutto liscio.

Chi utilizza argomenti seri per fare giochetti tattici si assume una grave responsabilità. In ogni caso per ora al Senato abbiamo la maggioranza.

E se il ddl penale si bloccasse, crede che il ministro Orlando potrebbe optare per lo stralcio della delega sul carcere? Il respiro della legislatura non sembra più così breve e si farebbe in tempo ad approvare i decreti.

Parliamo di una parte essenziale della riforma. Non vedo la necessi- tà di stralciarla: ricominciare da capo è sempre rischioso anche perché qui il punto di dissenso non è sul merito, è politico. E tutto può diventare un pretesto, anche la riforma dell’ordinamento penitenziario. Aggiungo: si tratta di temi su cui abbiamo a lungo ascoltato la società civile, la magistratura e l’avvocatura: come si può buttare via tutto?

A proposito di durata della legislatura: il Pd la passerà a litigare su date e candidature anziché sui contenuti?

Il rischio c’è e va scongiurato. Io credo che il quadro sia chiaro: con il 4 dicembre una fase si è esaurita, è andata in archivio la funzione riformatrice della legislatura e si è reso necessario un esecutivo che portasse a compimento alcune riforme avviate dal governo Renzi, per avviarci quindi al voto. Che questo diventi ora oggetto di discussione quotidiana dipende largamente da chi ritiene che l’unico obiettivo sia liberarsi di Renzi. Un’idea che considero miope, sbagliata e controproducente rispetto all’interesse generale del partito. Il contributo di questa parte non mira affatto a preservare il bene collettivo, cioè il Partito democratico.

E come si esce da questo conflitto?

Lunedì ci sarà la direzione, sarà un passaggio molto importante. Non si può restare imprigionati nella gabbia tattica in cui D’Alema vuole chiuderci. Ora agita lo spauracchio dello spread: fino a poco tempo fa, quando veniva posto il problema del differenziale sugli interessi, lui lo ascriveva alla categoria delle sciocchezze. La lotta politica interna, per D’Alema, prevale su tutto. Non è questa la mia cultura. C’è un punto in cui l’interesse generale deve prevalere sul resto.

Si arriverà alla scissione?

L’unico che fa uno sforzo unitario si chiama Matteo Renzi. Subito dopo il 4 dicembre disse che si doveva andare immediatamente a congresso, gli fu risposto di no. Si opposero gli stessi che ora dicono: senza congresso non si va da nessuna parte. Abbiamo il dovere di fare una discussione complessa come è quella sull’unità del partito, di rilanciare un confronto anche articolato: ma non si sta nello stesso partito sparando ogni giorno a palle incatenate sulla leadership.

Fuori dal partito vi misurerete con i populisti: li si batte rilanciando la lotta alle disuguaglianze?

Guardi, i populisti si occupano di tutto tranne che della povertà. Utilizzano la disperazione di chi soffre per alimentare un rancore che devasta il tessuto sociale. La prospettiva del Pd è diversa, è quella di una cultura riformista che affronta i problemi con la barra dritta ma in modo nuovo: non quello di una sinistra nostalgica, ma di una sinistra in sintonia con il mondo che cambia.

Sfida coraggiosa: certo affrontarla con un partito diviso non vi spianerà la strada.

Basta essere chiari sugli obiettivi. Finora la vera difficoltà è stata appassionare le nuove generazioni: ma non ci si arriva con un ragionamento astratto sull’uguaglianza. La visione da offrire è quella di un in- vestimento sulle loro capacità. Nello stesso tempo una classe politica riformista deve anche avere il coraggio di raccontare le difficoltà di questa crisi. Perché mai si dovrebbe competere con chi cambia uno slogan ogni minuto? Noi abbiamo l’obbligo di offrire, come orizzonte futuro, l’opposto dell’invito alla passività, e cioè la possibilità di ridare fiducia ed entusiasmo. Senza negare le difficoltà e con obiettivi precisi da portare avanti.

Quello che indicherebbe per primo?

C’è un tema chiave che precede tutti gli altri ed è quello dei diritti. Sono essenziali perché producono cambiamento sociale, e non vanno subordinati al discorso sull’uguaglianza. Che rischia di ridursi a un refrain. Noi siamo gli unici che l’hanno affrontato davvero, nel nostro Paese, non con sufficienti risultati, ma l’uguaglianza sociale non può essere agitata a parole con il reddito di cittadinanza e negata nei fatti discriminando le persone straniere. Quest’ultima questione è non è parte del grande tema dell’uguaglianza? Noi dobbiamo puntare su tre assi: la dimensione europea, quella dei diritti sociali e civili e la costruzione di un partito integrato con la società. Non serve la riedizione in sedicesimi delle forze politiche del Novecento.

Ma la linea che lei descrive e quella della minoranza possono stare nello stesso partito?

Sono convinto di sì.