La corsa verso le urne parte dopo le motivazioni della sentenza della Corte costituzionale. È questo il messaggio che arriva da Matteo Renzi e dallo stato maggiore del Partito democratico al termine della due giorni di Rimini, in cui il segretario è riapparso in pubblico, su un palco, dopo oltre un mese di silenzio. Renzi rimane dell'idea che sia necessario consultare le altre forze politiche sul modello elettorale: resta sul tavolo il mattarellum, prima scelta dei dem, ma senza "impiccarsi ad essa", come dice un esponente di primo piano della maggioranza. Se le altre forze politiche non si trovassero sulla stessa lunghezza d'onda, non rimarrebbe che prenderne atto aprendo la strada al voto con il doppio sistema: il Senato si eleggerebbe con il consultellum mentre alla Camera si applicherebbe la legge prodotta dall’ultima sentenza della Corte costituzionale. Un nodo che verrà sciolto il 13 febbraio, durante la direzione del partito convocata proprio per fare il punto sulle trattative e sulle motivazioni dei supremi giudici. "Prima del 13 facciamo tutti i tentativi possibili", è la linea del segretario: "E chiaro - il messaggio che arriva dai piani alti del Nazareno - che le motivazioni saranno lette con attenzione e che saranno presi in considerazione eventuali 'inviti a procedere' della Corte. E altrettanto chiaro, tuttavia, che un invito o un suggerimento non è un obbligo". Se si trovasse un accordo sul mattarellum, dunque, come si procederebbe? La strada più breve, viene spiegato, è quella di un disegno di legge 'blindato' del governo, attorno al quale raccogliere un consenso molto ampio. Legge elettorale alla mano, la strada verso le urne sarebbe spianata, magari pensando anche a un election day che possa accorpare elezioni amministrative e politiche oltre che incentivare la partecipazione. "In altre fasi storiche è avvenuto" che si facesse ricorso a un election day, "vediamo se sara possibile farlo anche questa volta", dice Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e responsabile Enti locali del Partito democratico. Il nodo: legge elettorale con troppi posti bloccati Particolarmente pesante per gli equilibri del Pd sembra essere, a questo punto, la parte di Italicum risparmiata dalla Corte, quella che comprende i capilista bloccati. Perche si tratta di una polizza assicurativa per il segretario e di una spada di Damocle per la minoranza del partito: sarà Renzi ad assegnare i posti in lista e la sinistra “non allineata” teme che il segretario possa approfittare dell'occasione per regolare i conti interni. La presenza di due pezzi da novanta dei bersaniani come Roberto Speranza e Nico Stumpo in prima fila al Palacongressi di Rimini ha fatto parlare di una trattativa in corso tra Renzi e Bersani sui posti in lista. Ipotesi che la minoranza rigetta: "Non c'è nessuna trattativa, eravamo lì perche abbiamo ricevuto l'invito come altri 400 parlamentari Pd", ha spiegato Stumpo per poi chiedere di andare a congresso "prima del voto, per scegliere la linea politica del partito e la leadership". Nessuna trattativa, dunque, e nessun tentativo di dividere la minoranza dem. Anche perché la minoranza è tutt'altro che un monolite: al suo interno convivono posizioni diverse che vanno da quella di Gianni Cuperlo, protagonista dell'accordo raggiunto con la maggioranza renziana sulla legge elettorale a novembre, a quelle di Stumpo o Zoggia. O anche del governatore Michele Emiliano che oggi è tornato a chiedere il congresso sottolineando di essere pronto a candidarsi a segretario, se questo fosse utile al partito. Si tratterebbe del secondo candidato all'interno della minoranza Pd. L'altro, Speranza, ha già sciolto la sua riserva ed è impegnato da alcune settimane in un giro per il Paese, nei luoghi di lavoro e nelle periferie. E D’Alema prepara la scissione Ma anche l'opposizione interna dei bersaniani appare morbida rispetto agli attacchi portati da Massimo D'Alema contro il segretario e la classe dirigente del partito. Nelle ore in cui a Rimini si riunivano amministratori locali, parlamentari e ministri, D'Alema a Roma riuniva i comitati per il No alle riforme e li esortava a non scioglierere le righe ma a raccogliere adesioni e fondi per tenersi pronti ad ogni evenienza. “Non si cambia politica senza cambio di rotta e senza cambio di leadership, ma per farlo serve un congresso”, ha scandito: “Se Matteo Renzi cercherà di correre al voto per normalizzare il partito e avere gruppi parlamentari più fedeli scatterà il liberi tutti. Siamo in un conflitto tale che abbiamo dovuto chiamare i riservisti”. Una battuta, questa, che Matteo Orfini, presidente del Pd, commenta cosi: “Il nostro e l'unico partito in cui i riservisti, invece di lavorare per il Pd, lavorano per gli avversari”.