«La nuova discesa in campo di Silvio Berlusconi farà crescere Forza Italia e riunirà il centrodestra». Un centrodestra che deve essere ampio, secondo il senatore ed ex presidente del Senato Renato Schifani, e «sarebbe incompleto senza la Lega Nord».

Senatore, ha ancora senso parlare di centrodestra unito?

Certo, però partendo da un presupposto: il collante del vecchio centrodestra non è più sufficiente. Quelli sono stati anni di grandi splendori ma anche fatti, almeno in parte, da uomini diversi. Oggi bisogna lavorare su una piattaforma comune, approfondendo soprattutto il punto più ostico: l’Europa, che è poi la questione che più ci divide dalla Lega Nord.

Proprio Salvini, però, dalle pagine de La Stampa, ha detto di essere pronto a correre da solo. Possibile un centrodestra senza di lui?

Un centrodestra senza Lega sarebbe sicuramente incompleto, per questo credo sia necessario fare sintesi delle nostre posizioni. Anche perché il partito di Salvini ha ormai raggiunto la sua massima dimensione di consenso, attestandosi attorno al 12%.

Impresa improba, considerando le ultime prese di posizione di Salvini...

La frattura maggiore riguarda l’Unione Europea, perché su lavoro, sicurezza e questioni sociali non ci sono differenze sostanziali. Noi siamo per rimanere in Europa ma con atmuto, teggiamento critico e volendola cambiare, Salvini invece vorrebbe addirittura uscirne. Per smussare queste distanze, però, io credo sia necessario rafforzare il ruolo di Forza Italia come area moderata di aggregazione del popolo centrista e liberal- riformista. Solo attraverso una forte crescita del partito, grazie anche a Silvio Berlusconi, si potrà ragionare meglio con Salvini.

Berlusconi è pronto a tornare in campo. Lei lo ha sentito?

Sì e l’ho trovato molto carico e motivato, ma soprattutto consapevole del fatto che tantissimi italiani continuano a credere in lui. Sente intorno a sè l’affetto del Paese, ma anche una grande responsabilità dopo la sua discesa in campo per il no al referendum, che è stata determinante per la vittoria.

Guardiamo ora al governo Gentiloni. Presto per tirare qualche somma?

In termini soggettivi, è praticamente la fotocopia del governo Renzi. Per quanto riguarda l’azione politica, invece, c’è qualche segnale di discontinuità.

Qualcuno in particolare?

Penso, ad esempio, agli interventi sull’immigrazione. Il ministro Minniti, che è persona esperta di questi temi, ha impresso un chiaro cambio di marcia. Noi abbiamo giudicato favorevolmente le misure assunte dal ministero degli Interni e, se continuasse in questa direzione, non ci tireremo indietro a condividerle.

Con lo stesso spirito valuteremo il decreto legge sul salvataggio delle banche, a tutela di milioni di risparmiatori.

Non è poco, per essere un governo fotocopia...

Infatti Gentiloni rischia di dover pagare per le bugie di Renzi. Spiace che questo governo si trovi a dover e arginare il problema della finanza pubblica: è arrivato il richiamo europeo, che noi abbiamo tante volte a giusta ragione te- e ora rischiamo la procedura di infrazione.

Un governo, tra l’altro, che è nato “con la data di scadenza” e che dovrebbe solamente scrivere la legge elettorale...

Sulla scadenza non mi pronuncio, salvo ricordare che le Camere possono venire sciolte solo dal presidente Mattarella. Detto questo, è necessario affrontare la questione della legge elettorale, posto che il Mattarellum non garantirebbe alcuna governabilità nell’attuale sistema tripolare, con tre partiti tutti idealmente al 30%.

E’ tramontata, dunque, la stagione dei sistemi maggioritari?

In un sistema tripolare è impensabile attribuire un premio di maggioranza abnorme ad partito che arriva primo per una manciata di voti. E’ necessario adeguarsi, dunque, ad una realtà mutata, ragionando in termini di esigenze di rappresentanza.

Praticamente, quindi, un proporzionale puro?

Io penso ad un sistema proporzionale con l’alta soglia di sbarramento del 5% come correttivo maggioritario. In questo modo si eviterebbe la polverizzazione del sistema politico e si consentirebbe ai partiti di avere una rappresentanza leggermente maggiore rispetto a quella del proporzionale puro.

Vista l’attesa della sentenza della Corte Costituzionale sull’Italicum, però, i tempi per votare a giugno sembrano sempre più stretti...

Guardi, la data delle elezioni non la stabiliscono né Renzi né il Partito Democratico. Vedremo se si spingeranno fino al punto di sfiduciare il loro stesso governo. Sarà comunque il Capo dello Stato a valutare la data.

Se dovesse azzardare un’ipotesi, però?

Io non faccio ipotesi, ma mi interrogo su un aspetto: è normale che il nostro Paese venga rappresentato al G7 di Taormina - il primo con Donald Trump e con il nuovo presidente francese appena eletto - da un premier dimissionario? Un premier, in altre parole, che non potrebbe assumere alcun impegno davanti ai grandi del mondo. Che danno verrebbe arrecato agli italiani, che aspettano risposte soprattutto in temi strategici come l’immigrazione e il contrasto al terrorismo? Rifletta su questo, il Pd di Renzi.