Dopo la ricostruzione dei fatti di Tolmezzo, pubblicati su Il Dubbio il 28 maggio scorso, la direttrice aveva replicato con una lettera su gnewsonline, il quotidiano del ministero della Giustizia, smentendo in qualche modo la ricostruzione. Ma ora è il Garante nazionale delle persone private della libertà a rendere pubblico, tramite il suo rapporto, la sua posizione.

Innanzitutto sottolinea che la direttrice ha rivelato in una lettera aperta al giornale on line, di conseguenza, a un pubblico illimitato, il nome della persona detenuta interessata ai fatti, con corredo di particolari sui reati per cui è in carcere e sul regime detentivo a cui è sottoposta. Il Garante, stigmatizza tale iniziativa, perché «si tratta – si legge nel rapporto relativo alla visita effettuata al carcere di Tolmezzo – di propalazioni che, per un verso, integrano la violazione del diritto alla riservatezza che le persone private della libertà non perdono a ragione dello stato di detenzione e, per altro verso, possono anche minare ragioni di sicurezza o di indagine connesse alla tipologia di reati attribuiti a S. H. ( inziali del detenuto colpito dal getto d’acqua degli idranti, ndr)».

Sempre nella stessa lettera, la direttrice ha dichiarato che l’uso degli idranti è un «mezzo ordinario» di contenimento nell’Istituto di Tolmezzo e, ancor più, che nel caso specifico, vi sarebbe stato fatto ricorso «ottenute le necessarie autorizzazioni».

Per questo motivo, il Garante nazionale raccomanda alle Autorità responsabili, a livello centrale e locale, di inviare con sollecitudine specifici ed esaustivi chiarimenti in ordine a: quali Autorità all’interno degli Istituti e in particolare della Casa circondariale di Tolmezzo sono legittimate a rendere autorizzazione all’uso di idranti a scopo di contenimento; quale Autorità abbia effettivamente rilasciato la «necessaria autorizzazione» nel caso di specie; da quale annotazione nei registri dell’Istituto risulti detta autorizzazione e se esistono norme regolamentari o ordini di servizio che prevedano il ricorso agli idranti per azioni di contenimento e nel caso si chiede di renderne documentazione.

Ma non finisce qui. Il Garante fa notare che, nonostante la direttrice abbia visionato il video del sistema di sorveglianza insieme alla delegazione, «ne ha fornito, nella sua dichiarazione giornalistica, una rappresentazione diversa e riduttiva ( nei tempi, nelle modalità dell’azione, compresa l’apposizione di una coperta a chiusura della porta per ridurre al minimo il defluire dell’acqua dall’interno, negli effetti di tutta l’azione), rispetto a quanto constatato da tutti i presenti».

Inoltre il Garante ha aggiunto che la direttrice «ha omesso, per altro verso, di rendere pubblica informazione del fatto che la mattina di martedì 21 maggio, a quasi due giorni di distanza dall’accaduto, la stanza di S. H. aveva ancora il pavimento bagnato, con visibili pozze d’acqua negli angoli e nel bagno, che era ancora bagnata ogni altra suppellettile, che il materasso era appoggiato al muro e carico di acqua, come il cuscino, che i suoi vestiti, le scarpe, i libri e tutti gli oggetti erano impregnati di acqua».

Tutti elementi, questi, di cui la delegazione in visita ha preso direttamente atto e ha portato innanzitutto alla conoscenza della stesa direttrice. Oltre a ciò il Garante ha rilevato come il tenore giustificatorio della ricostruzione pubblica dei fatti «appaia in contraddizione con l’iniziativa giudiziaria che la direttrice ha dichiarato aver assunto, oltretutto nei confronti del personale che, come lei stessa afferma, è stato autorizzato a mettere in atto tali comportamenti».

Il Garante, nel contempo, auspica quindi che l’Amministrazione penitenziaria avvii una indagine interna per fare chiarezza su quanto accaduto, su eventuali responsabilità, a ogni livello. «La violenza si fonda su una cultura diffusa che va combattuta con ogni mezzo, anche attraverso segnali inequivocabili che comportamenti in tale senso non sono accettabili e comportano conseguenze sul piano disciplinare», conclude.