Il viaggio nell’avvocatura italiana riparte da Spoleto. Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati della città umbra è presieduto da Maria Letizia Angelini Paroli. Nelle grandi città, così come in provincia, l’esigenza che viene posta all’attenzione è sempre la stessa: saranno gli investimenti con più personale a migliorare il settore giustizia. «L’affollamento dei ranghi professionali – dice al Dubbio la presidente del Coa di Spoleto -, sia nei grandi come nei medi e piccoli centri, si è accompagnato con i crescenti problemi economici di singoli e imprese, che ormai sono indotti a rinunciare sempre più spesso alla tutela legale e giudiziaria dei diritti. La crisi, in generale, degli Uffici giudiziari, che, in mancanza di personale e investimenti adeguati, si chiudono all’accesso e al lavoro degli avvocati, salvo lodevoli eccezioni, rende impervia anche la quotidianità della professione. Quest’ultima è resa poi ancora più disagevole dalla produzione continua di riforme e normative episodiche o settoriali che complicano studio, applicazione e continuo adattamento. Sullo sfondo, una innegabile erosione del prestigio del professionista, che come Ordini fatichiamo sempre più a fronteggiare».

Gli avvocati iscritti all’albo di Spoleto sono 407 ( 188 uomini, 219 donne). Nel 2020 si sono avute 7 cancellazioni, nel 2012 dieci in più ( 17) e quest’anno, ad oggi, sei avvocati hanno riposto la toga nell’armadio. «Al momento – spiega la presidente Angelini Paroli -, pur essendo il nostro un Ordine con un albo non vastissimo, abbiamo in evidenza già oltre venti casi di distacco dall’avvocatura, fra il 2021 e il 2022, per accedere ad impieghi, soprattutto pubblici o ad altre attività. Sembra potersi affermare che, anche nel nostro campo, non dissimilmente che negli altri, stia prevalendo la propensione per la collocazione dipendente, più o meno stabile e retribuita, di fronte alle eccessive incertezze della libera professione, sia singola sia associata» . L’avvocata Angelini Paroli analizza lo stato in cui versa l’avvocatura, non solo quella del Foro di Spoleto. Solo osservando la realtà nella sua complessità si possono comprendere le evoluzioni di una professione profondamente cambiata rispetto a quindici anni fa. Secondo la presidente del Coa, non è detto comunque che avremo sempre meno toghe. «Dipende – evidenzia - dal mix delle tendenze, quelle sociologiche ad influenza generale e quelle specifiche del nostro campo. Vi è tutt’ora, beninteso, un flusso in entrata nel mondo forense. Ma è assai più limitato rispetto ai decenni precedenti e resta da approfondire la misura in cui esso è determinato dalla indisponibilità di altre soluzioni lavorative. Quest’ultimo aspetto, evidentemente, non è lusinghiero. Il discorso si intreccia con quello sul praticantato. Un tempo si svolgeva, anche con effetti selettivi, nelle forme classiche di frequentazione coinvolta nello studio e alle udienze. Oggi, sono state rese equipollenti svariate forme di attività di profilo scientifico e di applicazioni operative. A fronte delle aspettative del tirocinante di un riconoscimento della propria attività, la gran parte degli studi non è in grado di soddisfarle. Molte sono, poi, le ricadute dei problemi che permangono nei percorsi universitari di indirizzo giuridico, oltre a quelli di carattere sociale connessi a non pochi disagi delle famiglie che vogliano assecondare l’inclinazione dei giovani per la professione forense». Un contesto ed un insieme di fattori che farebbero pensare ad una confermata tendenza alla diminuzione degli approdi al mondo della toga. «Nello scenario nazionale - prosegue la numero uno del Coa di Spoleto -, caratterizzato da tutte le sedi giudiziarie, sia metropolitane sia più piccole, che lamentano carenze e scoperture degli organici, il Tribunale e la Procura di Spoleto presentano una anomalia particolarissima, delle più penalizzanti, di cui da diversi anni cerchiamo di far prendere atto, invero senza troppi risultati».

La presidente dell’Ordine spoletino rivolge le proprie attenzioni alle decisioni degli anni scorsi, quando si intervenne sulla geografia giudiziaria senza tener conto delle peculiarità dei territori, delle esigenze dei professionisti e, soprattutto, dei cittadini. In alcuni casi vennero fatti danni incalcolabili e tanti avvocati si leccano ancora le ferite. «In occasione della revisione delle circoscrizioni, negli anni 2011- 2012 – ricorda Angelini Paroli -, per uno dei pochi casi di virtuosa applicazione del criterio “prioritario” della legge delega, cioè il riequilibrio tra circondari finitimi, caratterizzati da rilevanti differenze di dimensioni, il nostro Circondario ha accorpato a sé due, quelli di Foligno e di Todi, delle cinque ex Sezioni distaccate di Perugia. Siamo diventati il Tribunale di tutta la fascia centrale dell’Umbria, passando dagli appena 85mila abitanti serviti ad oltre 220mila». In quella circostanza si assistette a un vero e proprio pasticcio. «Per un inspiegabile, sconcertante errore nella trasmissione o nel maneggio dei dati – conclude Angelini Paroli -, il ministero della Giustizia, come documentato dalla sua stessa relazione, stimò che, trasferendosi la competenza su circa 140mila abitanti, si sarebbero spostati da Perugia a Spoleto 381 affari penali e civili. Praticamente, forse, un dodicesimo di quel che sarebbe ed è poi avvenuto. L’assurda conseguenza è stata che a Spoleto sono stati assegnati 8- 9 giudicanti e 3- 4 requirenti in meno di quelli dovuti. Maggiore è stato il disastro per il personale, lasciato pressoché invariato. È cominciato da quel momento per noi un interminabile e mortificante pellegrinaggio verso le sedi istituzionali per ottenere la dovuta rettificazione, confortati anche dai pareri del Consiglio Giudiziario Distrettuale».

Storture e forzature degli anni passati, provocate da chi aveva solo una visione burocratica della giustizia. Una situazione che il nuovo corso aperto in via Arenula farebbe bene a prendere in considerazione.

MARIA LETIZIA ANGELINI PAROLI, PRESIDENTE DEL COA DI SPOLETO