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Va avanti la discriminazione dei tatuati nelle forze dell’ordine. L’ultima frontiera è un’agente della Polizia stradale di un comune lombardo, Guardamiglio, rimossa per un tatuaggio pregresso.
L’aveva abraso col laser, ma non conta. Niente incisioni dermiche, i codici di comportamento lo vietano. E se pure sei un tatuato pentito, la macchia resta.
Non si vede più nulla ma c’è la macchia morale. Sei hai ceduto alla tentazione vai punito a vita.
Siamo alla nevrosi burocratica, alla minuzia paradossale, alle regole ridotte a pedanteria. Le forze dell’ordine annoverano eroi, alcuni noti, altri invisibili o “quotidiani”, come il prefetto di Lodi aveva definito l’agente dal tatoo fatale, Arianna, capace di sedare una furibonda rissa a mani nude. A furia di concentrarsi sull’irrilevante, di trascinarsi dietro le pignolerie, si rischia di perdere di vista l’essenziale.
Non è una questione di moralismo, o di generalizzazioni. Vicende come quella della caserma di Piacenza, o peggio come l’orrore consumato su Stefano Cucchi, sono eccezioni, lo sappiamo. Ma il rischio è che a furia di prestare troppa attenzione ai dettagli insignificanti si rischia di lasciar crescere l’erba gramigna delle devianze vere.