Un capo d’accusa totalmente copiato dalla memoria della parte civile e contenente un fatto «non corrispondente al vero» ma mai verificato. A denunciarlo sono gli avvocati Ivan Pacifico e Antonio Nobile, protagonisti di quella che venerdì scorso, a Salerno, è apparsa a tutti come un’udienza preliminare a dir poco surreale, iniziata con la richiesta di rinvio a giudizio degli imputati e terminata anzitempo con la richiesta di restituzione degli atti per tre dei sei capi d’accusa. L’inchiesta vede otto persone imputate a vario titolo, tra le altre cose, per diffamazione a mezzo stampa in concorso, concussione ed estorsione. E soprattutto quest’ultima accusa, secondo Pacifico e Nobile, sarebbe totalmente campata in aria: l’imputata, infatti, si è vista riconoscere per ben cinque gradi di giudizio, in sede civile, il diritto ad essere reintegrata nella cooperativa dalla quale era stata estromessa anni prima e a vedersi versare circa 160mila euro per spettanze non retribuite e altro. «La vicenda nasce dunque anche da pretese economiche che l’imputata ha nei confronti della presunta persona offesa, che per evitare di pagare quello che è dovuto ha imbastito una serie di azioni legali civili - spiega Pacifico al Dubbio -. Ci sono stati cinque giudizi: un arbitrato, un appello sull'arbitrato, una Cassazione, un giudizio di primo grado e uno di Corte d’Appello, tutti conclusi con sentenze favorevoli alla persona oggi imputata. I giudici nell’ultima, risalente al 29 giugno scorso, proprio perché stanchi di questa querelle, hanno condannato la presunta persona offesa, in via punitiva, al pagamento del doppio del contributo unificato. Ma secondo il capo d’imputazione, tali sentenze sarebbero state sfavorevoli alla donna, che nonostante ciò avrebbe continuato a prendere il pagamento di tali somme». Da qui l’accusa di estorsione, attraverso «la minaccia inequivoca di riuscire ad ottenere (per la cooperativa, ndr) ulteriori ispezioni e verifiche con cui procurare non solo ingenti danni e consistenti esborsi per spese legali ma addirittura concreti rischi di perdita dell’accreditamento (al servizio sanitario nazionale, ndr) e dunque di chiusura della cooperativa». Tale capo d’accusa, il numero 3, «è perfettamente identico a quanto contenuto nella memoria del difensore di parte civile, che ha quindi indicato il capo d’imputazione ideale, che il pm ha letteralmente copiato e trasposto nell’avviso di conclusione delle indagini». Quel pm, nel frattempo, è stato promosso e trasferito altrove e il fascicolo assegnato ad un nuovo sostituto. «Per quanto mi consta, per il Csm copiare la sentenza di un altro giudice costituisce un illecito disciplinare. In questo caso sono stati copiati e incollati addirittura atti provenienti dalla persona offesa.Colui che ha ereditato il fascicolo - ha spiegato Pacifico - non ha letto le carte, chiedendo comunque il rinvio a giudizio». Ma come si è arrivati alla richiesta di restituzione degli atti? «Come avvocati, per una questione di cortesia personale e per evitare che apprendesse tali fatti dai giornali, abbiamo inviato la memoria in cui spieghiamo tutte le stranezze di questa vicenda, sentenze favorevoli incluse, non solo al giudice d’udienza ma anche al procuratore di Salerno, Giuseppe Borrelli, che essendo nuovo non poteva conoscere tutti i dettagli - ha aggiunto Pacifico -. Durante l’udienza abbiamo visto fasi concitate, fino a quando il pm ha interrotto il giudice, che stava leggendo un’ordinanza, chiedendo la restituzione degli atti per tre dei sei capi d’imputazione, con la scusa di dover verificare chi siano effettivamente le persone offese». Insomma, un modo per prendere tempo e chiarire la questione, secondo i difensori. Giovedì scorso il nuovo colpo di scena: la Procura è tornata sui suoi passi, chiedendo non più la restituzione degli atti ma solo l'integrazione del contraddittorio. Ma dopo un’ora e mezza di udienza e due di camera di consiglio, il Giudice ha rispedito l’intero fascicolo in Procura, ovvero tutte e 18mila le pagine agli atti e non solo le circa 12mila richieste inizialmente dal pm. «Quello che ci sorprende - ha concluso Pacifico, che contesta in toto l’indagine, lamentando anche la fusione di due vicende distinte - non è tanto che gli avvocati scrivano ciò che viene rappresentato dai propri clienti, ma che il magistrato abbia preso tutto per buono, senza fare alcuna verifica».