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Ursula Von der Leyen eletta per la seconda volta alla presidenza della Commissione europea nell’aula del Parlamento europeo a Strasburgo, Giovedì, 18 Luglio 2024 (Foto Roberto Monaldo / LaPresse) Ursula Von der Leyen elected for the second time as president of the European Commission in the hall of the European Parliament in Strasbourg, Thursday, July 18, 2024 (Photo by Roberto Monaldo / LaPresse)
Ursula von der Leyen sarà presidente della Commissione europea per altri 5 anni. Ma senza i voti di FdI. A sera Giorgia Meloni, in un video di 52 secondi, spiega che FdI ha scelto di «restare coerente con la posizione espressa nel Consiglio europeo di non condivisione del metodo e del merito». In realtà la premier italiana è stata costretta a una scelta che avrebbe preferito evitare che era quasi obbligata dopo l'apertura a sinistra, verso i Verdi, della candidata.
Ursula è stata eletta con ampia maggioranza, 401 voti, quaranta in più di quelli necessari. Cinque anni fa ce l'aveva fatta con solo otto voti di margine, portati in dono dal M5S. Ma la compattezza apparente dei numeri inganna. La presidente rischiava davvero e senza il soccorso verde, ove si fosse dovuta appoggiare solo alla sua maggioranza iniziale, quella che porta il suo nome composta da Popolari, Socialisti e Liberali, non ce l'avrebbe fatta. La hanno salvata i Verdi, perché i franchi tiratori sono stati tanti.
La candidata partiva da 401 voti sulla carta garantiti dalla sua maggioranza. I Verdi ne portavano altri 53 anche se solo 45 garantiti, altri 6 i due partiti dell'Ecr che avevano deciso di sostenerla ma due o tre voti potrebbero esserle arrivati anche dalla Sinistra. Ma senza gli ecologisti, 45 o 53 che fossero si sarebbe fermata a 356 voti e non sarebbe stata eletta. Ursula ne era consapevole. Ha aperto il suo discorso, la presentazione della piattaforma sulla quale chiedeva la fiducia, proprio confermano in pieno il Green Deal con l'obiettivo invariato di arrivare alla riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Si è scagliata contro «gli estremisti che vogliono distruggere l'Europa ma non glielo permetteremo» e contro Orban e la sua politica «di appeasament » con Putin.
Nessun appeasament invece: «Ci assicureremo che la dipendenza energetica fossile sia finita per sempre» e pedale pigiato a manetta sulla Difesa, cioè sul riarmo. Il passaggio essenziale era il primo: quello aspettavano per decidere se votarla sia i Verdi, pienamente soddisfatti, che FdI molto più che delusa. Gli ecologisti hanno ufficializzato il sostegno immediatamente. FdI, pur senza dirlo apertamente sino alla conclusione delle votazioni ha fatto di conseguenza la scelta opposta e ha votato no: «Dopo che i Verdi avevano annunciato il loro appoggio non potevamo che votare contro», spiega a risultati ufficializzati il capodelegazione Fidanza. E' una sconfitta secca. Forse anche qualcosa di più. Non solo perché la presidente ce l'ha fatta anche senza il voto tricolore ma soprattutto perché si sono invece dimostrati essenziali gli ecologisti, che non mancheranno di reclamare il saldo in termini di impegni scritti e firmati sulla riconversione ecologica. Gli equilibri della commissione si sono dunque effettivamente spostati, come prevedeva Giorgia, ma in direzione opposta a quella che lei
si aspettava: a sinistra invece che a destra.
Quella di Ursula è stata una scelta precisa, dettata dall'irrigidimento dei Socialisti e dei Liberali che non avrebbero accettato aperture a destra. Da politica navigata, la presidente, dopo essere stata per mesi la principale alleata di Meloni a Bruxelles, ha invertito la marcia. Nel discorso di ieri non ha concesso niente, neppure formalmente, a FdI sul Green Deal ed è stata prudentissima sull'immigrazione senza andare oltre l'impegno a «riflettere su nuovi modi per contrastare l'immigrazione illegale nel rispetto del diritto internazionale e garantendo ai migranti soluzioni sostenibili ed eque» : una formula studiata per rassicurare i tanto eurodeputati che proprio per la linea troppo vicina a quella di Meloni sull'immigrazione avrebbero potuto votarle contro in segreto e molti probabilmente lo hanno anche fatto.
Dopo oltre un anno di lavoro paziente la premier italiana si ritrova precisamente dove non avrebbe voluto stare: spinta a forza nel ghetto dei sovranisti duri dai quali aveva cercato di prendere le distanze, isolata e umiliata in quell'Europa nella quale aveva più volte vantato una centralità e un protagonismo dell'Italia riconquistati grazie a lei. Non significa che l'Italia non otterrà un commissario di serie a. Al contrario, Bruxelles sfrutterà la nomina per chiarire che Meloni è stata isolata e tenuta fuori da ogni trattativa e decisione in quanto leader della destra, non in quanto premier dell'Italia. Ma sarà un premio di consolazione e la stessa leader sconfitta lo sa perfettamente. Cinque anni fa la maggioranza giallo- verde si spaccò proprio sul voto per la prima presidenza von der Leyen e la conseguenza diretta fu la crisi di quella maggioranza.
Anche stavolta la maggioranza italiana è divisa. Salvini ha votato orgogliosamente contro la presidente, Meloni lo ha fatto obtorto collo, Tajani ha applaudito il discorso della candidata pochi attimi dopo la sua conclusione. Fatto da chi fino all'ultimo aveva reclamato quel «cambio di direzione» sul Green Deal che non c'è stato è una dimostrazione brillante di quella faccia tosta senza la quale un politico deve cambiare mestiere. Le conseguenze non saranno immediate e deflagranti come nel 2019. Ma sia pur nascoste e dissimulate ci saranno. Soprattutto se alla sconfitta a Bruxelles seguirà una vittoria di Trump negli Usa Giorgia sarà molto più debole, Salvini un pochino più forte.